Scuola

Lo sciopero Amazon ripropone la centralità strategica di questo strumento di lotta nella scuola come altrove. di F. Cannizzaro

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Oggi 22 marzo 2021 è in fase di realizzazione il primo sciopero globale delle lavoratrici e dei lavoratori del colosso dell’e-commerce Amazon.

Da più parti e giustamente si è ribadito che questa mobilitazione, senza precedenti, è stata pensata ed organizzata per affermare pienamente i diritti di chi lavora per questa multinazionale

Tra gli obiettivi, anche in Italia, ci sono: la riduzione dei carichi di lavoro, migliori condizioni di sicurezza e la stabilizzazione dei precari.

Ci consola, in tal prospettiva, che a sostenere i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori siano scesi in campo le Federazioni di categoria di CGIL, CISL, UIL, affiancate anche da altre organizzazioni sindacali.

Ovviamente il nostro auspicio è quello che lo SCIOPERO riesca e serva a definire una nuova, diversa stagione nel modo in cui, in Italia come altrove, Amazon tratta i lavoratori, cosa che permetterà se così fosse, di definire relazioni sindacali reali e durature.

Da parte nostra, Noi tutti, possiamo sostenere questi lavoratori, quste lavoratrici astenendoci, almeno nella giornata di oggi, dal fare acquisti su Amazon.

Permettetemi a margine di questo utile, doveroso richiamo alla solidarietà con i lavoratori e le lavoratrici di Amazon di ricordare a noi tutti che le prassi adottate da quel colosso globale del commercio su Internet non sono solo o tanto un’eccezione ma rischiano in concreto nel Mondo, e anche in Italia, di divenire un “paradigma” di riferimento.

Ovvero esiste la possibilità reale che si assista ad una AMAZONIZZAZIONE nelle e delle relazioni tra datori e lavoratori.

Di fronte a questa possibilità tutt’altro che ipotetica è nostro dovere esigere che i nostri sindacati, le organizzazioni categoriali e/o confederali a cui ognuno di noi aderisce contrastino queste logiche.

Può e deve inoltre fare riflettere, ad esempio, che la piattaforma che rappresenta in Italia le richieste di questi lavoratori e lavoratrici ponga al centro della mobilitazione temi tra i quali: la riduzione dei carichi di lavoro, migliori condizioni di sicurezza e la stabilizzazione dei precari.

Temi che non differiscono di molto da quelli che contribuiscono a fare parte di tante delle necessità dei lavoratori di questo Paese non esclusi noi del comparto #Scuola o #Istruzione che dir si voglia.

Questa “convergenza” deve farci riflettere tutti su un dato fondante e fondamentale ovvero che questi ed altri risultati possono essere ottenuti solo se saremo in grado anche noi, al pari dei lavoratori di Amazon, di prassi di #mobilitazione e #vertenzializzazione dei bisogni anche se si dovesse passare per lo strumento, organizzato, articolato e ben pianificato, dello SCIOPERO.

Ci chiediamo: le nostre Federazioni di categoria, le nostre Confederazioni avranno altrettanta attenzione e coscienza di questa necessità?

Fabio Cannizzaro

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La scuola secondo Draghi. di D. Lamacchia

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Nel suo discorso di investitura al senato nell’affrontare il tema della scuola ciò che mi ha colpito è stato il riferimento alla scuola privata e alla possibilità dei ragazzi (le famiglie) di scegliere tra alternative.

A partire da un costo base ognuno deve poter scegliere tra scuola pubblica e scuola privata. In sostanza un vecchio obiettivo, in parte già attuato, di finanziare le scuole private, in prevalenza scuole cattoliche. In apparenza questo concetto è giusto facendo credere ad una parità di costi tra le due alternative. In realtà la parità è un inganno perché nella realtà i costi si moltiplicano, ai costi per la scuola pubblica si aggiungono quelli per la privata. A meno di ridurre sensibilmente i primi. Cosa attuata dai precedenti governi di matrice centro-destra. Sappiamo tutti come una scuola rinnovata significhi innanzitutto investimenti, forti, in edilizia scolastica. Per rinnovarne la sicurezza e soprattutto per raggiungere l’obiettivo di dimezzare il numero di alunni per classe, se si vuole attuare una didattica degna del nome. Si aggiungano i costi per l’aumento di personale, insegnante e non, e miglioramento della logistica complessiva e si ha un’idea del volume degli investimenti necessari.

Come è possibile, in pratica distinguere tra pubblico e privato? Gli investimenti richiedono sin dall’inizio di stabilire che indirizzo avere, diversamente si ottiene solo spreco senza raggiungere gli obiettivi. Che dire dell’implicazione sul piano sociale di uno sviluppo delle private? Si favorirebbe la creazione di scuole di serie A e scuole di serie B. Indovinate a chi andrebbero le une e a chi le altre. La scuola è l’elemento base per la creazione di ascensori sociali. Se si vuole dare ad ognuno pari opportunità sociale si deve garantire ad ognuno pari opportunità di formazione!

Veniamo al discorso del pluralismo. Ai sovranisti dell’ultima ora non viene in mente che ogni discorso sull’unità nazionale passi attraverso una unità della formazione? Perché allora la spasmodica richiesta di interventi nel privato? Il pluralismo vero è il pluralismo nella scuola non delle scuole. Si cominci con l’introduzione dello studio della storia delle religioni e non di una sola di esse, per esempio. La scuola deve essere mirata alla formazione di cittadini coscienti e critici non solo di cittadini-produttori. Non si deve sapere solo come ma anche perché.

Riformare la scuola quindi significa avere chiara una visione dello sviluppo sociale che si intende avere per adeguare organicamente la formazione dei suoi componenti. E’ necessario impedire perciò l’esistenza di scuole private? Assolutamente no! Chi la vuole è libero di farla, ma se la paghi! Riguardo ai contenuti scolastici? Sarebbe troppo lungo, magari un’altra volta…Solo una domanda, saprà la sinistra capace di difendere la scuola pubblica? Speriamo!

Donato Lamacchia

La politica che vorremmo, di O. Basso Persano e C. Baldini

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Vorremmo una politica che si rifaccia al suo significato etimologico:
Dal greco antico politikḗ (“che attiene alla pόlis”, la città-stato), con sottinteso téchnē (“arte” o “tecnica”); per estensione: “arte che attiene alla città-stato”, talvolta parafrasato in “tecnica di governo (della società)”.
Quindi, per noi, chi decide di fare politica si deve occupare del benessere della città-stato, oggi della società, e il benessere della società trae origine dal benessere delle persone.
In questi ultimi decenni (per non dire secoli), la Politica si è occupata sempre meno del benessere delle persone, per arrivare a non occuparsi neanche più del benessere del pezzettino di società costituito dalla propria nazione, per occuparsi sempre più del benessere del capitale, della finanza e quindi di quella ristretta cerchia di persone che ,tramite il denaro, tanto, e sempre di più, incidono sulla politica e quindi sull’economia reale.

Ma il benessere della società è direttamente proporzionale a quello di TUTTE le persone, non di un’elité.
Lo stesso Pil (prodotto interno lordo) è fatto di soli numeri di produzione, ma non di come si produce, di importazione e di esportazione. Non c’è alcun dato nei calcoli del Pil che riporti la condizione di vita e di lavoro e quindi di benessere delle persone che danno quel Pil. Quindi, che senso ha dire che il pil della Spagna è raddoppiato quando la disoccupazione è al 40%.?
Chiaramente se si licenzia e si sfruttano maggiormente quelli che restano, è una cifra illusoria che non rispecchia l’economia di un Paese ma che porta acqua al solito mulino.

Partendo da questi presupposti, la nostra idea di Politica ha come principi fondanti i bisogni delle persone:
– Alimentarsi
– Vestirsi
– Curarsi
– Muoversi
– Istruirsi
– Aiutarsi
Per fare tutte queste cose, è necessario riportare il lavoro, la scuola, la sanità, le comunicazioni e l’ecosostenibilità al centro dell’agenda politica di chiunque si appresti a governare la società.
Mai come oggi occorre dire chiaramente “Prima le persone”

Il lavoro deve essere un diritto di tutti, tenendo conto di quali sono le finalità del lavoro: non l’arricchimento di pochi sulla pelle di tanti, ma un metodo per ottenere il necessario (e se possibile anche il superfluo) per vivere; quindi, se si ottiene l’obiettivo con meno ore di lavoro, si lavori di meno e si assumano altre persone (LAVORARE MENO, PER LAVORARE TUTTI).
Va da sé che se siamo concordi su questo punto chiave, non possiamo accettare il liberismo come politica economica.
Queste cose, badate, non sono argomentazioni marziane, nei paesi nordici (Svezia) sono già messe in atto.

Esiste quindi un percorso già tracciato che non azzera i presupposti economici del capitalismo, ma cerca di conciliarli tramite i diritti delle persone con il valore del benessere delle persone in carne ed ossa.
Non v’è alcun dubbio che occorre ribaltare la globalizzazione nelle sue strategie ed origini viziate dal liberismo sfrenato.

La scuola è uno dei servizi che vengono demandati a un’istituzione che rappresenti i cittadini. Questa istituzione trova le risorse per attivare l’istruzione dei propri rappresentati raccogliendo i soldi da ognuno di loro, secondo le possibilità di ognuno, perché funziona così, il nucleo primario delle società è la famiglia, in cui non tutti portano a casa uno stipendio, ma tutti ricevono la loro parte e danno il loro contributo come possono.
Anche la sanità è uno di questi servizi ed entrambi non hanno nessun obbligo di dare un profitto immediato, perché sono servizi che precorrono un profitto successivo: il cittadino competente, preparato e sano provvederà a produrre il profitto.
Le comunicazioni, soprattutto in un mondo globalizzato come il nostro devono essere incentivate e libere, le persone devono potersi spostare senza grossi impicci, possibilmente nella maniera meno invasiva possibile per l’ambiente, quindi bisogna dare un grande impulso ai trasporti pubblici, invece di tagliarli.
Perché non si può accentrare in pochi luoghi i servizi principali e togliere la possibilità di raggiungere quei luoghi, se non con enorme dispendio di tempo ed energie.
E qui si collega anche l’ecosostenibilità, non possiamo pensare di sfruttare all’infinito le risorse naturali del nostro pianeta, non possiamo pensare di usare tutto l’universo animale e vegetale, come se non ci fosse un domani e soprattutto infliggendo dolore e morte non necessari.
In conclusione noi chiediamo ad un partito che vuole affermarsi come Sinistra Italiana o a chiunque voglia ricostruire un insieme valoriale che si richiama a questi punti fermi, di intraprendere questo percorso con chi, senza esitazione, si sente di dovere dare ancora un valore storico alla parola Sinistra. Le ideologie sono state derise da chi aveva interesse a farlo, ma questa operazione ha portato all’annullamento di forze sociali organizzate su valori comuni.
E’ buffo come la sinistra abbia smontato il suo patrimonio ideologico ed invece la destra l’abbia rafforzato e affondato il coltello nel buco nero lasciato da una stolta sinistra.
Anche i movimenti non sono partiti veri e propri. Anzi disprezzano il partito. Non capiscono che è la forma di rappresentanza che occorre mettere in atto per contrastare l’ideologia rimasta sempre viva: quella del Denaro innanzitutto.

Orietta Basso Persano e Claudia Baldini

Ora è palude, di C. Baldini e O. Basso Persano

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Abbiamo difeso la Costituzione. Abbiamo stoppato un pericoloso progetto che puntava ad esautorare il Parlamento ed evitato una probabilissima deriva oligarchica.

E questa, chi, come tanti di noi aderiva ai Comitati del No, sanno che è stata una dura, durissima battaglia fatta in mezzo alla gente. Per le strade, nei mercati, nelle scuole, davanti ai centri commerciali e, non ultima come importanza, in rete. Tante iniziative pubbliche, confronti tra politici, lezioni dei costituzionalisti.
Risultato : il popolo è tornato a votare. Nonostante la nausea che Renzi nelle ultime settimane ha procurato persino ai suoi sostenitori. In tutto il Paese sentivi dire “Basta, lasciateci un canale”
Stando alle diffide Agcom disattese, il PD dovrebbe pagare multe salate.

Bene , ora tutto ciò è alle spalle. Davanti ci sono forse elezioni politiche anticipate. Questa è la richiesta che viene almeno da Lega e Grillo. Noi giudichiamo sbagliatissima questa idea
Già Renzi ha fatto il loro gioco, non vorrei che lo rinforzassimo. Fermiamoci un attimo a pensare.

Il Paese, come risulta anche da questo Si o No è molto spaccato. I No a voce spiegata vengono dalle zone più povere, dai giovani senza futuro, dai lavoratori a cui hanno tolto i diritti. Poi vengono anche da coloro che hanno solo rigettato questa nefanda revisione costituzionale.

Ma non servirebbe andare ad elezioni. I partiti o movimenti come quelli che chiedono il voto non sono quelli che possono lottare contro il liberismo e dare un altro volto al sociale ed alla economia del Paese. Il Movimento 5 stelle è un agglomerato di tendenze diverse, ondeggiante tra sinistra e Farage. Che cosa andrebbero a fare se vincessero le elezioni? Con quale legge elettorale? Quella che hanno osteggiato fin qui? E la Lega? Qual è la politica economica della Lega?

Una: ritorno al passato. Via dall’Europa e muri . E senza il premio non si governa da soli. Con chi potrebbero allearsi. Tra loro? Bene , allora credo che ci saranno fuoriusciti da una parte e dall’altra. Si torneranno a rimpinguare le file di Forza Italia, e di nuovo la sinistra del movimento sarà senza casa.
Pensate che responsabilità di omicidio colposo di sinistra ha assunto il PD con la sua malaugurata creazione. Non ha più una identità certa. Dipende solo da un leader. Segue i diktat liberisti come farebbe un Berlusconi qualunque. Anzi meglio, perché Berlusconi una opposizione bene o male ancora a sinistra l’aveva.

I senza tetto siamo noi gruppi di sinistra. Siamo anche parecchi come singoli, non siamo spariti nel nulla. Rabbiosamente il referendum ci ha tirato fuori di casa. Avevamo già dato dei segnali di vita con il referendum sulle trivelle.

Non c’è nessun partito come uno di sinistra che possa governare per la gente e non per l’esercizio del potere. Ci possono essere delinquenti, deviazioni, allucinazioni, ma se è di sinistra l’antidoto ce l’ha. E’ la maggioranza della sua gente che controlla, che partecipa, che non abbandona il suo cervello a nessuno. Il punto è che abbiamo dormito sonni profondi, sognato di vivere di rendita, passato un anno a discutere sul sesso degli angeli. O meglio, sul concetto di sinistra e di centrosinistra. Con un piccolo particolare che in giro ci sono solo partiti di destra e centro destra.

Nonostante la pessima prova che abbiamo dato alle amministrative, sparando anche sui nostri candidati, non abbiamo ritenuto di fare subito un congresso. Perciò ora siamo ancora invisibili per i più.
Certo, abbiamo sentito due ottimi interventi di Fratoianni e Civati stamane, ma ognuno nella sua nicchia. Giusto parlare di sinistra, ma bisogna crearla eh, non c’è mica. Ci sono persone rinchiuse ognuna nel suo dire, ma non c’è un Partito della Sinistra Italiana. Non c’è nemmeno una classe dirigente chiara. Perché alcuni guardano ancora alla Madonna e nessuno ha osato lasciarli lì da soli a continuare la contemplazione.
Si continua a dire che il problema è complesso. Ah, ma se non fosse complesso, l’avrebbe risolto anche Ciaone. Sarà anche complesso ma ormai è vitale: togliamo la malattia o tutta la gamba?
Eppure il manifesto Fratoianni, di Cosmopolitica, è chiaro, semplice e condivisibile. Ci vuole un partito di sinistra. Quando ci sarà un decente Partito della sinistra Italiana , che sia aperto a tutta la gente che si sente di appartenere alla sinistra, e non dobbiamo stare sempre a ripetere quali sono i caratteri distintivi dell’essere persone di sinistra, si inizia a ricostruire. Dal 2%? Va bene ,però avanti con chiarezza e lavoro. Forse si andrà al 4 la prossima volta. Ci saranno i ballottaggi tra i maggiori? Bene decideremo di volta in volta il meno peggio. Arriverà prima o poi, se insistiamo con la coerenza, un tempo diverso. Beato chi ci sarà.

Ora non siamo pronti per colpa nostra

Se si dovesse andare ad elezioni politiche dovremmo tornare a fare una sinistra patchwork, elettorale. E non credibile. Brutta davvero. E il tempo lo abbiamo avuto. Anche le persone, se cambiassero mentalità, avremmo di grande livello. Ma tant’è.

Che contributo possiamo dare noi da qui, come si usa dire dal basso?

Enorme e di qualità, perché non ci interessano le poltrone, ma i nostri giovani, i nostri malati, i nostri anziani e i nostri bambini. Anzi ci interessano tutti coloro che sono discriminati, disoccupati, malati senza cure, piccoli affamati o bombardati. E vogliamo che il mondo inverta la sua rotta.
E da tempo ci siamo abituati a discutere lealmente e produttivamente.
Orietta ed io abbiamo pensato di cominciare a ragionare di un possibile programma tematico.
Per l’Economia, il Lavoro, i Diritti, la Scuola e vedremo. Proporremmo delle idee alla discussione e faremo un sondaggio limitato al tema in discussione. In modo che si possa capire l’orientamento sintetizzato dei compagni e amici, che sono tantissimi in rete. Sfrutteremo al massimo le condivisioni per estendere la spinta a discuterne. Che inevitabilmente diverrà anche una spinta verso l’alto. Sia ben chiaro che si condivide con tutti, chi vota pd , chi vota 5 stelle, e stop.

Perché gente di sinistra si è persa e spersa ovunque. Dopo il lavoro fatto nei Comitati insieme ad alcuni del Pd e a tanti stellati abbiamo realizzato una verità: siamo noi che li abbiamo costretti ad emigrare, per contare qualcosa. E’ ora di chiarirsi

Non dobbiamo fare dei manifesti programmatici ma tirare fuori proposte di sinistra. Che dovremo mediare nella realtà capitalista ma che comunque aiutino la gente e non i potenti.
Senza chiedere la luna, quella ne aveva diritto solo Pietro Ingrao. Loro ce l’avevano lasciata la luna .

Claudia Baldini e Orietta Basso Persano

Il lavoro al tempo del PD, di C. Baldini

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Ci voleva la cosiddetta sinistra al governo per distruggere l’equilibrio delle parti che fanno ‘lavoro’
Oggi sentiamo imprenditori che, a parole, appaiono suadenti, gentili, sempre sorridenti. Ne hanno ben motivo: dopo la ‘Riforma del lavoro’ (occhio alle riforme renziane!!) fanno quello che vogliono. Non c’è limite, non c’è controllo.
Dal non assumere se hai una tessera sindacale o se non garantisci di non volere figli o se non accetti i voucher, al poter licenziare dopo tre anni e riassumere per godere degli sgravi fiscali a pioggia.

La Riforma ha fatto regredire i diritti del lavoratore al primo dopoguerra , sempre sotto ricatto di licenziamento, creato lavoratori ‘schiavi’ che accettano di tutto pur di lavorare. Ad ogni ingiusta decisione del governo , invochiamo scioperi e mobilitazioni. Non è facile mobilitare lavoratori quando sono ricattati, sono finiti i tempi dei grandi sacrifici, anche perchè son finiti i tempi dei grandi sindacalisti. E un sindacato come la Cgil, che pure rimane il solo ancora ad alzare la voce, è scivolato arrampicandosi per i gradini del palazzo.

E se non c’è qualcuno che ti chiama , che dice dei no, che ti esorta a lottare, ti senti solo. Tante le tessere sindacali non rinnovate, ma è bene, pur criticando e lottando per cambiare le cose, ricordare che il sindacato siamo noi.
Noi dovremmo andare a protestare contro patti non graditi. Non ridare la tessera. Farci sentire. Se muore la Cgil, è più dura per tutti. Avremmo dovuto non mollare la lotta contro la Riforma del lavoro . Cofferati non l’avrebbe mollata. Ma Cofferati si è anche sempre reso interprete dell’autonomia dal partito.

E’ indubbio che c’è uno scadimento nella formazione di una dirigenza cresciuta all’interno del palazzo rispetto a chi aveva anche lavorato nel mondo reale. Si instaura un rapporto di fiducia diverso con gli iscritti. E si capisce di più quando si deve proseguire con ogni mezzo la lotta. La lotta che pone in modo arbitrario e contro i lavoratori , una legge che in un mese ha spazzato via lotte di anni.
E a poco serve, per ridare fiducia, proporre referendum e legge per recuperare lo Statuto.

Chiunque può vedere che cosa è diventato lavorare al tempo di Renzi. Ma potrei dire al tempo del PD, perchè tutti hanno votato il jobs act, tutti hanno votato la riforma indecente della scuola, tutti hanno votato i tagli alla sanità e tutti voteranno l’Ape.
Che poi si oppongano forse alla Riforma Costituzionale mi fa piacere , ma non mi fa mutare il giudizio. E questo scivolamento netto a destra era già in embrione alla nascita del PD, fusione che stranamente ha fatto soccombere la parte maggioritaria e prevalere la parte democristiana.

Per questo io sarei più favorevole a lavorare a sinistra e buttarsi a ricostruire una Sinistra unitaria, più che a pensare a continuare un centro sinistra-destra con il PD. Perchè il PD è qualcosa che non contiene più i buoni semi della sua tradizione ma è ‘contaminato’ fortemente da valori opposti. Ed un piccolo partito di sinistra che ponga come centro della sua strategia ancora l’alleanza col PD è destinato a diventare PD per sopravvivere.

Ne vediamo le applicazioni nei consigli regionali dove nulla distingue l’operato di Sel da quello del PD. Perchè quando fai un’alleanza non c’è mai scritto che accettaeranno il jobs act o la deforma della scuola o i tagli alla sanità. Ci sono solo buone cose nei programmi elettorali.

Allora è meglio pochi ma buoni. E se son buoni, cresceranno.
Intanto votiamo NO.
Ma pensiamo anche a come proporci ad un Paese che vota NO alla Deforma Costituzionale e alle Trivelle. Perchè che si vinca o si perda o non si raggiunga il quorum come per le trivelle, sono tanti che dicono NO a questo modo di governare.

Claudia Baldini

Scuola che fare? di L. Garofalo

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Da poche ore sono stati ufficializzati gli esiti della mobilità interprovinciale nella scuola e mi pare che ci sia chi esulta per il trasferimento ottenuto nelle vicinanze di casa propria (avendone tutte le ragioni, ovviamente), attribuendo i meriti al MIUR ed al ministro Giannini, di fatto già santificata. Ciò è un torto, nel senso che è un ragionamento errato e deviante: un diritto non può essere spacciato come un favore elargito arbitrariamente, a discrezione di qualche “santo”, per quanto potente esso sia.
Insomma, se hai raggiunto finalmente lo scopo della tua vita, la tanto attesa ed agognata stabilità professionale e persino la vicinanza della sede lavorativa, questo risultato non è certo ascrivibile al governo in carica, ma è evidentemente un tuo diritto finalmente riconosciuto e a lungo negato. Nel contempo, ci sarebbe da obiettare che la presunta “stabilità lavorativa” è ormai un miraggio proprio a causa della legge 107/2015, che ha di fatto precarizzato il ruolo docente, inquadrando la categoria nei famigerati Piani Triennali dell’Offerta Formativa, allo scadere dei quali il DS potrebbe anche non confermarti, ovvero dichiararti in stato di esubero o non più funzionale alle esigenze della scuola in cui hai prestato servizio fino ad allora.
È a quel punto che si prospetterebbe un’amara destinazione: finire nei famigerati “ambiti territoriali”, una sorta di calderoni da cui i presidi e gli Uffici Scolastici andrebbero ad attingere il personale di cui hanno bisogno come se fosse un “mercato delle vacche”. A ciò si aggiunga la controversa questione della “premialità” dei “più meritevoli” tra i docenti, in base a meccanismi o a criteri fissati dai “comitati di valutazione”, che non tengono affatto in considerazione il valore dell’insegnamento svolto in classe, nella misura in cui esaltano e privilegiano ben altri valori ed altre prerogative, per lo più funzionali alla politica promossa dal preside nella propria scuola. Perché, se non si fosse ancora compreso, è appunto di questo che si tratta: di politica, concepita soprattutto in termini clientelari, ovvero di gestione aziendalista, manageriale, affaristica della scuola, di corruttele, malaffare, favoritismi, assistenzialismi. Altro che efficientismo, meritocrazia ed altre simili baggianate, che sono fiabe per i bimbi.
Dunque, che fare? È il quesito che mette in difficoltà o in imbarazzo soprattutto chi è onesto intellettualmente. Potrei cavarmela rispondendo in modo evasivo, senza sciogliere il nodo cruciale posto dal fatidico interrogativo, che è un nervo scoperto. Rispondo sinceramente: non lo so. Se servisse scendere in piazza, manifestare, lottare, credo che converrebbe farlo. So che la famigerata “buona scuola” è in vigore, malgrado gli scioperi e le proteste (vane) del mondo della scuola.
I burattinai hanno verificato che la nostra “reazione” non sarebbe durata a lungo e che fosse un fuoco di paglia dei sindacati di categoria. Infatti, le proteste, le polemiche esternate con gli strumenti a nostra disposizione, soprattutto Internet e i social, le assemblee auto-convocate, le manifestazioni di piazza sfidando le forze dell’ordine in assetto antisommossa, tutto ciò non è servito a nulla. Le nostre lotte e le nostre proteste non sono servite ad arrestare gli infami propositi del governo e di chi lo sponsorizza. La legge 107/2015 è ormai una triste realtà con cui occorre fare i conti: la “chiamata diretta dei presidi” è passata sotto spoglie neanche tanto mentite: “chiamata per competenze”.
Il “merito” è un nome sostitutivo con cui si premieranno i servi e i leccapiedi.
Per cui ritengo che convenga restare vigili nei collegi dei docenti, pronti a reagire, magari creando un fronte unito e compatto nel corpo docente. Se possibile. Ed è esattamente questo il principale elemento di criticità e vulnerabilità della categoria docente: l’assenza di coesione interna, di solidarietà corporativa. Nelle alte sfere del potere lo sanno. Come lo sanno i presidi, che su tale punto debole insistono. Sanno che ci possono dividere facilmente, innescando contese miserabili, litigi come quelli tra i capponi di Renzo (o Renzi) nei Promessi Sposi. Basta ventilare premi di pochi spiccioli in più.
Lucio Garofalo

Sulla laicità delle istituzioni e le responsabilità della sinistra, di M. Zanier

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In un periodo in cui si guarda al Papa come al miglior referente per il rispetto dei diritti dei più deboli, ci si dimentica troppo spesso del ruolo storico delle forze della sinistra e della laicità delle nostre istituzioni, io torno col pensiero alla Breccia di Porta Pia ed al sacrificio dei bersaglieri caduti per rendere l’Italia unita e libera quel 20 settembre 1870. Quel giorno, al temine della Terza Guerra d’Indipendenza, essi si sono aperti faticosamente una breccia nelle mura vaticane a suon di cannonate e sono entrati vittoriosi a Roma guidati dal generale Raffaele Cadorna. Da quel giorno è ufficialmente finito il potere temporale della Chiesa, lo Stato Pontificio è caduto, al suo posto è nata l’Italia unita. Pochi mesi dopo Roma verrà proclamata capitale d’Italia.

Al momento della nascita della Repubblica Italiana, i padri costituenti hanno voluto sancire le fondamenta laiche del nostro Stato, scrivendo nella nostra Costituzione l’Articolo 7 : “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”. E la separazione dei poteri è stata confermata dal successivo Concordato, sottoscritto dai i due Stati nel 1984. Ed oggi che assistiamo alle ennesime ingerenze di oltretevere nelle vicende italiane (si veda il caso Marino e la resistenza delle forze politiche di ispirazione cattolica a far pagare l’IMU agli immobili del Vaticano od a far approvare la legge sulle unioni civili mentre si continuano a sovvenzionare le scuole private cattoliche coi soldi della scuola pubblica ed il fatto che lo stesso succede nella sanità ) mi domando se non sia il caso di ripartire anche da lì per definire il profilo e gli obiettivi di una politica alternativa realmente efficace per il Paese. Non intendo con questo il limitarsi al laicismo di facciata senza toccare le controriforme degli ultimi governi e di questo in particolare che hanno attaccato e distrutto le ultime certezze dello Stato sociale rimaste negli italiani (abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e del contratto di lavoro a tempo indeterminato, trasformazione della Scuola pubblica in una succursale delle aziende private con la chiamata diretta del preside-manager, riduzione drastica della democrazia rappresentativa con il ridimensionamento drastico del ruolo del Senato e l’elaborazione dell’Italikum, ossia la legge elettorale che annulla i contrappesi istituzionali previsti dalla Costituzione) ma coniugare le istanze più serie e rigorose della difesa dei diritti dei lavoratori, dei pensionati, dei tanti tantissimi precari e senza reddito né certezze abitative e dei ceti medi in grandissima difficoltà con una sana, antica e indispensabile presa di distanza dalla politica pontificia, che dovrebbe riguardare solo la Città del Vaticano.

Per questo oggi, sento il bisogno di guardare anche indietro a quel 20 settembre 1870 ed ai 49 bersaglieri caduti, perché è al loro sacrificio che dobbiamo l’unità d’Italia. Tutti quanti. E sento il bisogno di ricordare i loro nomi, sperando di non essere il solo a sentirsi riconoscente per il loro sacrificio:  PAGUARI GIACOMO, PALAZZOLI MICHELE, CASCARELLA EMANUELE,PARILLO GIACOMO, RIPA ALARICO, AGOSTINELLI PIETRO, CANAL LUIGI,GAMBINI ANGELO, BOSI CESARE, MATRICCIANI ACHILLE, MORRARA SERAFINO, ZOBOLI GAETANO, VALENZIANI AUGUSTO, SANTUNIONE TOMMASO, PERRETTO PIETRO, MARTINI DOMENICO, PAOLETTI CESARE, THEORISOD LUIGI DAVID, RISATO DOMENICO, MARABINI PIO, LEONI ANDREA, IACCARINO LUIGI, IZZI PAOLO, CARDILLO BENIAMINO, GIANNITI LUIGI, CORSI CARLO, RAMBALDI DOMENICO, GIOIA GUGLIELMO, BONEZZI TOMMASO, SANGIORGI PAOLO, CALCATERRA ANTONIO, TURINA CARLO, ROMAGNOLI GIUSEPPE, MATTESINI FERDINAND, BERTUCCIO DOMENICO, ZANARDI PIETRO, COMPAGNOLO DOMENICO, BOSCO ANTONIO, MAZZOCCHI DOMENICO, CAVALLO LORENZO, TUMINO GIUSEPPE, MADDALENA DOMENICO, ALOISIO VALENTINO, BIANCHETTI MARTINO, DE FRANCISI FRANCESCO, SPAGNOLO GIUSEPPE, FRANCISI FRANCESCO SPAGNOLO, GIUSEPPE XHARRA LUIGI, RENZI ANTONIO.

Marco Zanier.

Le scuole private e l’ICI. La vittoria della Costituzione, di M. Foroni

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Foroni 1

Sentenza storica per il Comune di Livorno: la Corte di Cassazione ha riconosciuto la legittimità della richiesta dell’Ici avanzata nel 2010 dal Comune agli istituti scolastici del territorio gestiti da enti religiosi. A comunicarlo è proprio il Comune sul suo sito. Per ora la sentenza si applica alle due scuole “Santo Spirito” e “Immacolata” che dovranno versare 422mila euro per gli anni dal 20o4 al 2009. A seguito delle sentenze, si provvederà a notificare anche gli importi dovuti per il 2010 e il 2011. Il pronunciamento della Cassazione potrebbe essere destinato a fare giurisprudenza. Si tratta della prima sentenza sul tema, in Italia.

Con le sentenze 14225 e 14226 depositate l’8 luglio, la suprema Corte ha di fatto ribaltato quanto stabilito nei primi due gradi di giudizio, sentenziando che, poiché gli utenti della scuola paritaria pagano un corrispettivo per la frequenza, tale attività è di carattere commerciale, «senza che a ciò osti la gestione in perdita». In proposito il giudice di legittimità ha precisato che, ai fini in esame, è giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro, risultando sufficiente l’idoneità tendenziale dei ricavi a perseguire il pareggio di bilancio. E cioè, il conseguimento di ricavi è di per sé indice sufficiente del carattere commerciale dell’attività svolta.

Questo genere di pronunciamento da parte della Corte di Cassazione è il primo in Italia sul tema specifico. La vicesindaco Stella Sorgente in proposito dichiara: «Abbiamo fatto degli incontri con le scuole interessate e l’ufficio tributi, nei quali era stata proposta un’ipotesi di conciliazione fra Comune e Istituti che sarebbe stata vantaggiosa per le scuole stesse, rispetto ad un’eventuale sentenza favorevole per il Comune da parte della Cassazione. Successivamente ci è stato comunicato dalle scuole stesse che avrebbero invece preferito attendere l’esito del giudizio in Cassazione. L’Amministrazione comunale è stata ringraziata per il sincero atteggiamento di apertura e dialogo dimostrato, ma non è stata accettata la proposta fatta. Pertanto, adesso che la Cassazione si è espressa con le due sentenze, le scuole sono costrette a pagare l’intero importo, comprensivo delle relative sanzioni. Ci fa piacere che questa sia la prima sentenza a livello nazionale che riguarda immobili di questa tipologia, destinati ad uso scolastico, affinché sia fatta definitivamente chiarezza sulla legittimità di tali pagamenti tributari da parte degli enti religiosi».

È la vittoria della Costituzione sull’«interpretazione» che ne hanno dato i governi. La sentenza fa scalpore perché è in controtendenza con quello che fanno i governi, compresi quelli di centrosinistra. La Costituzione all’articolo 33 parla di scuola pubblica e aggiunge che enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione ma “senza oneri per lo Stato”. Invece, negli ultimi anni non è stato così. A partire dalla legge Berlinguer, con un governo di centrosinistra, e poi negli anni c’è stato uno smottamento verso la scuola privata. “Senza oneri” per lo Stato non può avere un’interpretazione diversa. Purtroppo i contributi di cui le scuole paritarie già godono e i privilegi di natura fiscale si accompagnano a una contestuale riduzione dei finanziamenti per la scuola pubblica. E sarebbero molto più tollerabili se la scuola pubblica venisse salvaguardata, invece non è così. Non dubito che la scuola privata vada difesa, ma la scuola pubblica dovrebbe avere il primato.” Salvatore Settis

Marco Foroni

Precariato, cultura e conoscenza, di R. Sbordoni

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Riccardo SbordoniRelazione  di  Riccardo Sbordoni all’Assemblea del 13 maggio 2014 per la costruzione delle Case per la Sinistra unita

E’ di qualche giorno fa il presidio organizzato dagli studenti dei Licei romani davanti al MIUR, per contestare il test invalsi, lo strumento che forse più evidenzia il mutamento in atto nella scuola pubblica italiana, che va sempre più verso un modello anglosassone, puntando sulla privatizzazione dei luoghi della conoscenza superiore e quindi modificando l’istruzione così come l’abbiamo conosciuta fino a questo momento.

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