Welfare

Su Draghi profezie telegrafiche di Tiresia? di L. Manisco

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Il neo-presidente del Consiglio non ama parlare, ma quando ha parlato per più di un’ora al senato ha intonato una filastrocca di traguardi da raggiungere senza indicare scadenze, mezzi e procedure.Non siamo astuti come lui ma le astuzie altrui meritano la nostra attenzione. Ne abbiamo decifrate due. Della sua politica contro il cambiamento climatico ha usato il termine di “transizione” verso direttive a tal uopo. E del rilancio dell’economia ha detto che debbono essere “selettive”. Allusioni indicative? Non tanto. Per citare l’Alighieri i termini usati erano “Sì come cosa in suo segno diretta”. La transizione vuol dire solo prender tempo, rinviare, fors’anche devolvere a governi futuri quel compito. I provvedimenti economici e finanziari per il Super Mario vanno promossi con metodo selettivo: sostenere fiscalmente le aziende produttive e privare di qualsiasi sostegno quelle – la maggioranza – colpite dalla crisi che rischiano il fallimento. Il che, diciamo noi, vuol dire disoccupazione di massa e povertà senza ritorno.Il Draghi è un “Chicago’s boy”, un prodotto della scuola economica iper-libertista fibdata da ultra-conservatori del calibro di Milton Friedman e George Stigler. Ha lasciato vistose tracce su quanto ha appreso alla Goldman Sachs ed ha applicato alla BCE. Ritenere che possa cambiare idea a Palazzo Chigi è una pia illusione. Anzi, la grave crisi che ha colpito il Bel Paese potrà stimolare la sua creatività e il suo rigore. Non riuscirà ad aumentare significativamente il Pil di 1.649 miliardi ma cercherà di ridurre l’astronomico debito pubblico di 2.620 miliardi. Come? Ristrutturare e mimetizzare la destinazione dei 209 miliardi rateizzati dall’Unione Europea? Troppo poco! Tagliare lo stato sociale e la sanità, investendo quel che resta sulle misure anti covid-19 e le vaccinazioni. Scelta obbligata per un regime capitalistico. E se non basta ancora affittare il Colosseo alla McDonald’s e vendere la Fontana di Trevi. Non è solo una battuta: mentre il signor Draghi strangolava la Grecia un giornale inglese menzionò la possibilità per il British Museum di comprarsi metà dell’Acropoli.La politica estera: il Draghi si dichiara atlantico convinto proprio mentre la Merkel e Macron al Presidente Biden che al G-7 proclama “l’America è tornata” ribattono che per l’Europa ci vuole più autonomia. I mass media italiani evitano di menzionare quanto sopra: il silenzio è totale:”tutto tace, questa pace fuor di qui dove trovarla?”.Non prevediamo come il cieco indovino Tiresia il futuro. Guardiamo al presente stato delle cose senza transizioni e selettività.

Lucio Manisco

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“ Etica e economia” J. M. Keynes -L’attualità del suo messaggio, di A. Angeli

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Alberto Angeli 2

Il 21 aprile 1946 muore J-M-Keynes. Egli era fortemente legato a Piero Sraffa, di cui è stato il “protettore” nel periodo durante il quale  insegnò in Inghilterra 1926, ( con Keynes ha condiviso nel 1961 la medaglia Södeström dell’Accademia svedese delle scienze che costituisce l’antecedente dei premi Nobel di economia), Saffra, legato ad Antonio Grmasci, annoverava tra le sue amicizie anche quella di Bertrand Rassel  e di Wittngestein. Muore a Cambridge il 3 settembre 1983. Con questo breve saggio cerco di recuperare il valore di un famoso scritto di Keynes, in cui mi sono imposto di sintetizzarne il pensiero, che ritengo ancora attuale, cosciente che ciò possa esporsi ad una critica di banalizzazione di un pensiero di alto contenuto culturale e teorico.  “Etica ed economia” è la sintesi del pensiero di John Maynard Keynes, che affronto nel presente scritto, forse illudendomi di dare un contributo e un segnale alternativo alla indifferenza del momento politico che stiamo vivendo. Il richiamo a Sraffa è sintomatico di una continuità intellettuale che legava i due teorici dell’economia e che ha segnato il XX secolo. Lo scritto vorrebbe offrire uno stimolo alla riflessione sui fenomeni economici e sulla politica economica, sulle trasformazioni del sistema finanziario globalizzato e sul ruolo delle monete e, per l’attualità, dell’Euro. Nel breve scritto che segue, l’impostazione analitica dei temi indicati è appena accennata, mai sospinta fuori del tema, e tuttavia si presta ad una comprensione coerente del pensiero Keynesiano.

John Maynard Keynes, “ Etica e economia”. Una sintesi del pensiero Keynesiano

 Nel Saggio: “ Sono un Liberale?”  Keynes scrive :“Dobbiamo inventare una saggezza nuova per una nuova era. E nel frattempo, se vogliamo fare qualcosa di buono, dobbiamo apparire eterodossi, problematici, pericolosi e disobbedienti agli occhi dei nostri progenitori”.  Sono queste le conclusioni, con le quali  Keynes  nello scritto del  1925, consegna  le sue riflessioni  sulle numerose questioni di ordine politico, economico e sociale, che nel nuovo contesto mondiale, governato dal capitalismo, si vanno prefigurando. E’ quindi con una domanda, la stessa che dà il titolo allo scritto, con cui si chiude il saggio del grande economista, richiamandosi all’unica possibile conclusione che poteva scaturire da un’analisi tanto articolata, quanto problematica, dell’avvicinarsi dei “tempi moderni”. Il senso ultimo di questa visione culturale è quello che accompagnerà Keynes per lungo tempo, fino all’uscita della Teoria Generale nel 1936. Infatti, è con quel poderoso lavoro che sarà data unitarietà e spessore alla critica dell’ economia monetaria di produzione – in cui il capitalismo evidenzia in termini chiari la sua natura di sistema predatorio  e  iniquo – e alla capacità di autoregolazione dell’economia di mercato.

Il saggio “ Sono un liberale?” è la raccolta di numerosi scritti Keynesiani  che riproducono una serie di interventi ed articoli dell’economista, riconducibili alla fine degli anni 20 e 30, dalla lettura dei quali si avverte la forte e avvincente tensione culturale trasmessa dalla riflessione di Keynes sui grandi temi dell’economia del momento, ma con una visione profetica rivolta al futuro. Il testo brilla per la finezza e la rilevante chiarezza espressiva a cui il Keynes faceva ricorso,  dando alle sue analisi un sostegno argomentativo tale da rendere fluenti i suoi ragionamenti teorici, altrimenti incomprensibili.

La prima parte mette in luce il tragico passaggio dall’ “ordine” ottocentesco a quello del XX secolo, evidenziando  gli squassi del primo conflitto mondiale, per chiarire come le  conseguenze a cui porteranno le riparazioni di guerra inflitte ai tedeschi.  Peraltro quella fu la circostanza in cui rassegnò le proprie dimissioni dalla carica di rappresentante del Tesoro inglese alla Conferenza di Versailles.  Nella sua condanna di quelle deliberazioni  il rilievo del “problema economico” è dirompente. Infatti, di lì a poco, l’Europa andrà incontro alla Grande Depressione nel 1929, e al secondo conflitto mondiale un decennio più tardi.

Dalla sua  posizione  di analista della società il “problema economico” è posto come la questione pressante con cui deve fare i conti la società moderna e questo nonostante le meraviglie che il progresso sembra porgere su un piatto d’argento.  Egli scrive: “Abbiamo contratto un morbo di cui forse il lettore non conosce ancora il nome, ma del quale sentirà molto parlare negli anni a venire – la disoccupazione tecnologica -. Scopriamo sempre nuovi sistemi per risparmiare forza lavoro, e li scopriamo troppo in fretta per individuare nuovi impieghi per la forza lavoro”. Un passo che egli  ci invia come posta per riflettere sulle prospettive economiche per i nostri nipoti. Nella sostanza,  egli ci dice, la “povertà nell’abbondanza” è l’intrinseca contraddizione in cui vive il capitalismo, ed è questa contraddizione che è necessario spiegare se si vuole recuperare un senso positivo nel progresso, sgombrando il campo dagli opposti pessimismi che si vanno fronteggiando. Ossia, da una parte,  “il pessimismo dei rivoluzionari, convinti che una situazione così compromessa renda inevitabile un cambiamento radicale, e quello dei reazionari, persuasi che la nostra vita economica e sociale si regga su un equilibrio talmente instabile da sconsigliare qualsiasi forma di esperimento”

Nella sostanza, prosegue, l’ “amore per il denaro” è alla radice di tutto il sistema, anche se non è propriamente  l’ “amore per il denaro che serve a vivere meglio, a gustare la vita”, scrive,  ma il “possesso del denaro”, che rende il sistema  ingiusto.  (Auri sacra fames). Inoltre, sul fronte del profitto, è in regime di laissez faire che “il profitto va all’individuo che, per abilità o fortuna, si trova con le sue risorse produttive nel posto giusto al momento giusto” (La fine del laissez faire).  E’ in queste condizioni di iniquità, che secondo  Keynes,  “Un sistema che permette all’individuo abile ( e avido) o fortunato di raccogliere l’intero frutto di questa congiuntura offre chiaramente un incentivo immenso a coltivare l’arte di trovarsi nel posto giusto al momento giusto. Così uno dei più forti moventi umani, cioè l’amore per il denaro, viene asservito al compito di distribuire le risorse economiche nel modo migliore per aumentare la ricchezza al fine di ottenere la massima produzione di ciò che è maggiormente desiderato secondo la misura del valore di scambio”.

La questione è persino più ampia e, secondo Keynes, c’è bisogno di una nuova etica perché: “sembra ogni giorno più evidente che il problema morale della nostra epoca ha a che fare con l’amore per il denaro, con l’abituale ricorso al movente del denaro in gran parte delle attività della vita,  con l’approvazione sociale del denaro come misura concreta di successo e con l’appello della società all’istinto di accumulazione…” Questa  riflessione lo porta a spostare il suo sguardo alla Russia, verso la quale  lo spinge un sincero interesse verso il comunismo russo –  da cui, secondo Keynes, proviene o spira  una sorta di “afflato religioso, poiché, lì, si cerca di costruire una struttura della società in cui le motivazioni economiche,  come fattori condizionanti, avranno un’importanza relativa diversa, per il fatto che l’approvazione sociale sarà distribuita in altro modo, e dove i comportamenti  da prima erano normali e rispettabili, poi non lo saranno più”. Qui Keynes,  espressione della borghesia colta, approfondisce con il dovuto distacco quella che chiama “fede comunista”,  evidenziando come per lui non è certamente possibile accettare una “dottrina che, preferendo la melma al pesce, esalta il proletario al di sopra della borghesia e dell’intellighentjia”, pur ammettendo con decisione che è ineludibile la necessità di una nuova etica dell’economia.

I pensieri keynesiani portano però all’attenzione del lettore qualcosa di ancora più impegnativo  nella sua analisi della società. Intanto, per ciò che egli ritiene e indica come una rivoluzione da attuarsi nel metodo dell’analisi economica, facendo quindi camminare a fianco a fianco società ed economia,  per cui è solo comprendendo il profondo legame che le tiene insieme, è possibile assimilare il “rivoluzionario” messaggio di cui la Teoria Generale è portatrice.

Nel suo pensiero la funzione  del capitalismo è riassunta come una lotteria, in cui domina incontrastata l’incertezza  e l’alterità del semplice calcolo probabilistico, essendo infatti la moneta a gettare un ponte tra presente e futuro, sono  allora gli spiriti animali degli imprenditori a determinare lo stato e l’andamento della domanda effettiva del sistema economico.  Al proposito Keynes precisa: “ è una domanda che, misurandosi esclusivamente sui valori di scambio, nulla ha a che fare con il valore d’uso dei beni prodotti, e dunque con i bisogni che la società esprime”.  Molti studiosi di Keynes hanno trovato in questo passaggio  un doveroso tributo alle dimenticate analisi di Malthus e a quanto egli aveva intuito in merito al ruolo trainante della domanda nel dirigere il processo produttivo. Qui entra  in gioco anche  il confronto con Ricardo.  Ma  è a Piero Sraffa, che si deve il ritrovamento delle lettere mancanti,  riguardanti la corrispondenza tra Malthus e Ricardo, nelle quali vi si colgono, di fatto, gli inizi della teoria economica nonchè le linee divergenti,  lungo le quali la materia può essere sviluppata. Infatti , Ricardo studia la teoria della distribuzione del prodotto in condizioni di equilibrio, e Malthus si concentra su ciò che determina il volume della produzione giorno per giorno nel mondo reale. Ancora, Malthus tratta dell’economia monetaria in cui viviamo; Ricardo dell’astrazione di una un’economia con moneta neutrale.

Il pensiero di Keynes ha un percorso speculativo e formativo fondato su basi logiche. Era sua consuetudine ritrovarsi con i maggiori logici e matematici a lui coevi. A Cambridge con Russel – matematico e filosofo- che lo guida nelle conversazioni verso una teoria che deve assumere un valore strumentale rispetto alla pratica, che spinge Keynes ad impadronirsi di un linguaggio in cui faccia premio un ragionamento basato sul senso comune. Segue le lezioni di Marshall, da cui apprende i moderni metodi diagrammatici, necessari per cogliere la complessità dei fenomeni sociali e per arricchire la sua preparazione con lo scopo di muoversi nell’ambito della ricerca storica, della filosofia e, cosa inaspettata, proporsi come conoscitore della cosa pubblica.

Keynes, conclude il saggio affermando:  “l’economia è una scienza molto pericolosa”,  e gli economisti non sono profeti.   Ad ogni modo a Keynes non sfugge  il fatto  che i “tempi moderni  necessitano di nuove politiche e nuovi strumenti per adeguare e controllare il funzionamento delle forze economiche, così che non interferiscano in maniera intollerabile con l’idea odierna di che cosa sia appropriato e giusto nell’interesse della stabilità e della giustizia sociale”.

Perché riappropriarsi di Keynes , di questo  spirito critico,  di cui ogni tanto alcuni rimembrano le sue teorie per rianimare un’economia esausta e sostituita dalla finanziarizzazione globale. ma non tanto da essere annoverato nelle fila della cultura marxista.? Perchè  questo eretico tra gli eretici,  lascia infine che siano altri a rispondere alla domanda da cui è partito: “Sono un liberale?” La risposta sta tutta nella considerazione che dobbiamo dare all’importanza di non banalizzare le forme dei conflitti di classe sapendo leggere con attenzione e mettere a confronto Marx e Keynes.

Albero Angeli

Il paese della democrazia, di S. Valentini

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sandro-valentini

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Una famiglia su due nel Mezzogiorno è i condizione di povertà;
– Quasi 20 milioni di poveri;
– 34% di disoccupazione giovanile;
– il 5% della famiglie italiane non riesce più a pagare l’affitto;
– il debito pubblico è alle stelle e l’Italia è fanalino di coda nella crescita in Europa;
– Cresce l’emergenza profughi e si naviga al buio;
. L’unione europea ci chiede una manovra aggiuntiva dopo appena qualche giorno dal varo della legge di stabilità di circa 15.000 miliardi;
– La polizia giudiziaria indaga sul Comune di Roma mentre il Sindaco di Milano si autosospende;
– La corte costituzionale boccia la riforma della pubblica amministrazione;
– siamo senza regole elettorali certe;
– siamo in presenza di una crisi profonda del sistema bancario italiano che penalizzerà i piccoli risparmiatori, che metterà in discussione i posti di lavoro nelle banche (si parla di 20.000 posti) e che sarà pagata dalla comunità nonostante gli stipendi milionari dei manager che hanno determinato tale situazione;
– il sistema politico italiano si stringe attorno alla famiglia Berlusconi per l’attacco subito da Medioset;
– il governo viene sonoramente bocciato sulla sua proposta di riforma costituzionale ma tutti gli artefici di tale riforma non solo restano al loro posto nel nuovo governo virtuale ma vengono promossi, con Renzi grande puparo;
– Intanto la criminalità organizzata e la grande finanza vanno in Italia il bello e il cattivo tempo e cresce dismisura la disuguaglianza sociale;
– si dice di aver abolito le Province ma 5000 scuole medie superiore e non so quanti chilometri di strada vengono ancora gestiti da enti non eletti, senza risorse adeguate e soprattutto con consigli e presidenti nomimati dalle segreterie locali dei partiti come per i Consigli delle areee metropolitane;
– si continua a morire per incidenti sul lavoro ma se ne parla solo e non sempre l’evento drmmatico accade,
– soprattutto nel Mezzogiorno vi sono nuove forme di schiavismo con la forza lavoro degli immigrati.
Sicuramente dimentico molte cose, aggingete, aggiungete, questa è vera democrazia, guai a chi la tocca!

Sandro Valentini

La politica che vorremmo, di O. Basso Persano e C. Baldini

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orietta-basso-persano baldini claudia 4

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Vorremmo una politica che si rifaccia al suo significato etimologico:
Dal greco antico politikḗ (“che attiene alla pόlis”, la città-stato), con sottinteso téchnē (“arte” o “tecnica”); per estensione: “arte che attiene alla città-stato”, talvolta parafrasato in “tecnica di governo (della società)”.
Quindi, per noi, chi decide di fare politica si deve occupare del benessere della città-stato, oggi della società, e il benessere della società trae origine dal benessere delle persone.
In questi ultimi decenni (per non dire secoli), la Politica si è occupata sempre meno del benessere delle persone, per arrivare a non occuparsi neanche più del benessere del pezzettino di società costituito dalla propria nazione, per occuparsi sempre più del benessere del capitale, della finanza e quindi di quella ristretta cerchia di persone che ,tramite il denaro, tanto, e sempre di più, incidono sulla politica e quindi sull’economia reale.

Ma il benessere della società è direttamente proporzionale a quello di TUTTE le persone, non di un’elité.
Lo stesso Pil (prodotto interno lordo) è fatto di soli numeri di produzione, ma non di come si produce, di importazione e di esportazione. Non c’è alcun dato nei calcoli del Pil che riporti la condizione di vita e di lavoro e quindi di benessere delle persone che danno quel Pil. Quindi, che senso ha dire che il pil della Spagna è raddoppiato quando la disoccupazione è al 40%.?
Chiaramente se si licenzia e si sfruttano maggiormente quelli che restano, è una cifra illusoria che non rispecchia l’economia di un Paese ma che porta acqua al solito mulino.

Partendo da questi presupposti, la nostra idea di Politica ha come principi fondanti i bisogni delle persone:
– Alimentarsi
– Vestirsi
– Curarsi
– Muoversi
– Istruirsi
– Aiutarsi
Per fare tutte queste cose, è necessario riportare il lavoro, la scuola, la sanità, le comunicazioni e l’ecosostenibilità al centro dell’agenda politica di chiunque si appresti a governare la società.
Mai come oggi occorre dire chiaramente “Prima le persone”

Il lavoro deve essere un diritto di tutti, tenendo conto di quali sono le finalità del lavoro: non l’arricchimento di pochi sulla pelle di tanti, ma un metodo per ottenere il necessario (e se possibile anche il superfluo) per vivere; quindi, se si ottiene l’obiettivo con meno ore di lavoro, si lavori di meno e si assumano altre persone (LAVORARE MENO, PER LAVORARE TUTTI).
Va da sé che se siamo concordi su questo punto chiave, non possiamo accettare il liberismo come politica economica.
Queste cose, badate, non sono argomentazioni marziane, nei paesi nordici (Svezia) sono già messe in atto.

Esiste quindi un percorso già tracciato che non azzera i presupposti economici del capitalismo, ma cerca di conciliarli tramite i diritti delle persone con il valore del benessere delle persone in carne ed ossa.
Non v’è alcun dubbio che occorre ribaltare la globalizzazione nelle sue strategie ed origini viziate dal liberismo sfrenato.

La scuola è uno dei servizi che vengono demandati a un’istituzione che rappresenti i cittadini. Questa istituzione trova le risorse per attivare l’istruzione dei propri rappresentati raccogliendo i soldi da ognuno di loro, secondo le possibilità di ognuno, perché funziona così, il nucleo primario delle società è la famiglia, in cui non tutti portano a casa uno stipendio, ma tutti ricevono la loro parte e danno il loro contributo come possono.
Anche la sanità è uno di questi servizi ed entrambi non hanno nessun obbligo di dare un profitto immediato, perché sono servizi che precorrono un profitto successivo: il cittadino competente, preparato e sano provvederà a produrre il profitto.
Le comunicazioni, soprattutto in un mondo globalizzato come il nostro devono essere incentivate e libere, le persone devono potersi spostare senza grossi impicci, possibilmente nella maniera meno invasiva possibile per l’ambiente, quindi bisogna dare un grande impulso ai trasporti pubblici, invece di tagliarli.
Perché non si può accentrare in pochi luoghi i servizi principali e togliere la possibilità di raggiungere quei luoghi, se non con enorme dispendio di tempo ed energie.
E qui si collega anche l’ecosostenibilità, non possiamo pensare di sfruttare all’infinito le risorse naturali del nostro pianeta, non possiamo pensare di usare tutto l’universo animale e vegetale, come se non ci fosse un domani e soprattutto infliggendo dolore e morte non necessari.
In conclusione noi chiediamo ad un partito che vuole affermarsi come Sinistra Italiana o a chiunque voglia ricostruire un insieme valoriale che si richiama a questi punti fermi, di intraprendere questo percorso con chi, senza esitazione, si sente di dovere dare ancora un valore storico alla parola Sinistra. Le ideologie sono state derise da chi aveva interesse a farlo, ma questa operazione ha portato all’annullamento di forze sociali organizzate su valori comuni.
E’ buffo come la sinistra abbia smontato il suo patrimonio ideologico ed invece la destra l’abbia rafforzato e affondato il coltello nel buco nero lasciato da una stolta sinistra.
Anche i movimenti non sono partiti veri e propri. Anzi disprezzano il partito. Non capiscono che è la forma di rappresentanza che occorre mettere in atto per contrastare l’ideologia rimasta sempre viva: quella del Denaro innanzitutto.

Orietta Basso Persano e Claudia Baldini

La legge di bilancio ignora le politiche abitative, di M. Pasquini

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Massimo Pasquini

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La legge di Bilancio che sarà approvata oggi al Senato con il voto di fiducia (ad un governo dimissionario) ci consegna una legge di bilancio che a mia memoria, per la prima volta non contempla nessuna, nessuna, nessuna norma che abbia anche solo superficialmente a che fare con le politiche abitative.

Zero euro per programmi di aumento di offerta di alloggi a canone sociale. Zero euro per il fondo contributo affitto, in assoluta continuità con la legge di stabilità per il 2016. Fondo morosità incolpevole che dai circa 60 milioni di euro del 2016 viene ridotto a 36 milioni di euro (ovvero un contributo, per i soli sfrattati per morosità del 2015, pari a circa 50 euro mensili).

In questo modo il Governo condanna per i prossimi tre anni le 700.000 famiglie collocate nelle graduatorie a continuare ad abitare le graduatorie, senza alcuna prospettiva.

In questo modo si condannano le 350.000 famiglie che avevano diritto al contributo affitto al baratro dello sfratto per morosità per l’azzeramento del contributo affitto.

In questo modo si condannano le circa 60.000 famiglie che ogni anno subiscono lo sfratto per morosità, e che avrebbero il diritto a ricevere un contributo di 12.000 euro per stipulare un nuovo contratto ed uscire dallo sfratto, a subire l’onta di poter, al massimo e per una parte minoritaria di loro ad avere un contributo medio mensile di circa 50 euro per uscire dallo sfratto per morosità.

Quanta miserevole e sciatta politica vedo in Italia.

Ma non è solo il Governo che segna una assoluta indifferenza sulla questione abitativa e sul livello di precarietà raggiunta, a ruota Regioni e Comuni, nessuno escluso, perseguono la stessa strada.

Avanti con l’ipocrisia sparsa a piene mani l’importante è fare il presepe con due palestinesi, coppia di fatto e baraccati che esprimevano una speranza, che oggi le amministrazioni, centrali e locali, fanno morire.

Massimo Pasquini (Segretario nazionale dell’Unione Inquilini)

Ora è palude, di C. Baldini e O. Basso Persano

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baldini claudia 4 orietta-basso-persano

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Abbiamo difeso la Costituzione. Abbiamo stoppato un pericoloso progetto che puntava ad esautorare il Parlamento ed evitato una probabilissima deriva oligarchica.

E questa, chi, come tanti di noi aderiva ai Comitati del No, sanno che è stata una dura, durissima battaglia fatta in mezzo alla gente. Per le strade, nei mercati, nelle scuole, davanti ai centri commerciali e, non ultima come importanza, in rete. Tante iniziative pubbliche, confronti tra politici, lezioni dei costituzionalisti.
Risultato : il popolo è tornato a votare. Nonostante la nausea che Renzi nelle ultime settimane ha procurato persino ai suoi sostenitori. In tutto il Paese sentivi dire “Basta, lasciateci un canale”
Stando alle diffide Agcom disattese, il PD dovrebbe pagare multe salate.

Bene , ora tutto ciò è alle spalle. Davanti ci sono forse elezioni politiche anticipate. Questa è la richiesta che viene almeno da Lega e Grillo. Noi giudichiamo sbagliatissima questa idea
Già Renzi ha fatto il loro gioco, non vorrei che lo rinforzassimo. Fermiamoci un attimo a pensare.

Il Paese, come risulta anche da questo Si o No è molto spaccato. I No a voce spiegata vengono dalle zone più povere, dai giovani senza futuro, dai lavoratori a cui hanno tolto i diritti. Poi vengono anche da coloro che hanno solo rigettato questa nefanda revisione costituzionale.

Ma non servirebbe andare ad elezioni. I partiti o movimenti come quelli che chiedono il voto non sono quelli che possono lottare contro il liberismo e dare un altro volto al sociale ed alla economia del Paese. Il Movimento 5 stelle è un agglomerato di tendenze diverse, ondeggiante tra sinistra e Farage. Che cosa andrebbero a fare se vincessero le elezioni? Con quale legge elettorale? Quella che hanno osteggiato fin qui? E la Lega? Qual è la politica economica della Lega?

Una: ritorno al passato. Via dall’Europa e muri . E senza il premio non si governa da soli. Con chi potrebbero allearsi. Tra loro? Bene , allora credo che ci saranno fuoriusciti da una parte e dall’altra. Si torneranno a rimpinguare le file di Forza Italia, e di nuovo la sinistra del movimento sarà senza casa.
Pensate che responsabilità di omicidio colposo di sinistra ha assunto il PD con la sua malaugurata creazione. Non ha più una identità certa. Dipende solo da un leader. Segue i diktat liberisti come farebbe un Berlusconi qualunque. Anzi meglio, perché Berlusconi una opposizione bene o male ancora a sinistra l’aveva.

I senza tetto siamo noi gruppi di sinistra. Siamo anche parecchi come singoli, non siamo spariti nel nulla. Rabbiosamente il referendum ci ha tirato fuori di casa. Avevamo già dato dei segnali di vita con il referendum sulle trivelle.

Non c’è nessun partito come uno di sinistra che possa governare per la gente e non per l’esercizio del potere. Ci possono essere delinquenti, deviazioni, allucinazioni, ma se è di sinistra l’antidoto ce l’ha. E’ la maggioranza della sua gente che controlla, che partecipa, che non abbandona il suo cervello a nessuno. Il punto è che abbiamo dormito sonni profondi, sognato di vivere di rendita, passato un anno a discutere sul sesso degli angeli. O meglio, sul concetto di sinistra e di centrosinistra. Con un piccolo particolare che in giro ci sono solo partiti di destra e centro destra.

Nonostante la pessima prova che abbiamo dato alle amministrative, sparando anche sui nostri candidati, non abbiamo ritenuto di fare subito un congresso. Perciò ora siamo ancora invisibili per i più.
Certo, abbiamo sentito due ottimi interventi di Fratoianni e Civati stamane, ma ognuno nella sua nicchia. Giusto parlare di sinistra, ma bisogna crearla eh, non c’è mica. Ci sono persone rinchiuse ognuna nel suo dire, ma non c’è un Partito della Sinistra Italiana. Non c’è nemmeno una classe dirigente chiara. Perché alcuni guardano ancora alla Madonna e nessuno ha osato lasciarli lì da soli a continuare la contemplazione.
Si continua a dire che il problema è complesso. Ah, ma se non fosse complesso, l’avrebbe risolto anche Ciaone. Sarà anche complesso ma ormai è vitale: togliamo la malattia o tutta la gamba?
Eppure il manifesto Fratoianni, di Cosmopolitica, è chiaro, semplice e condivisibile. Ci vuole un partito di sinistra. Quando ci sarà un decente Partito della sinistra Italiana , che sia aperto a tutta la gente che si sente di appartenere alla sinistra, e non dobbiamo stare sempre a ripetere quali sono i caratteri distintivi dell’essere persone di sinistra, si inizia a ricostruire. Dal 2%? Va bene ,però avanti con chiarezza e lavoro. Forse si andrà al 4 la prossima volta. Ci saranno i ballottaggi tra i maggiori? Bene decideremo di volta in volta il meno peggio. Arriverà prima o poi, se insistiamo con la coerenza, un tempo diverso. Beato chi ci sarà.

Ora non siamo pronti per colpa nostra

Se si dovesse andare ad elezioni politiche dovremmo tornare a fare una sinistra patchwork, elettorale. E non credibile. Brutta davvero. E il tempo lo abbiamo avuto. Anche le persone, se cambiassero mentalità, avremmo di grande livello. Ma tant’è.

Che contributo possiamo dare noi da qui, come si usa dire dal basso?

Enorme e di qualità, perché non ci interessano le poltrone, ma i nostri giovani, i nostri malati, i nostri anziani e i nostri bambini. Anzi ci interessano tutti coloro che sono discriminati, disoccupati, malati senza cure, piccoli affamati o bombardati. E vogliamo che il mondo inverta la sua rotta.
E da tempo ci siamo abituati a discutere lealmente e produttivamente.
Orietta ed io abbiamo pensato di cominciare a ragionare di un possibile programma tematico.
Per l’Economia, il Lavoro, i Diritti, la Scuola e vedremo. Proporremmo delle idee alla discussione e faremo un sondaggio limitato al tema in discussione. In modo che si possa capire l’orientamento sintetizzato dei compagni e amici, che sono tantissimi in rete. Sfrutteremo al massimo le condivisioni per estendere la spinta a discuterne. Che inevitabilmente diverrà anche una spinta verso l’alto. Sia ben chiaro che si condivide con tutti, chi vota pd , chi vota 5 stelle, e stop.

Perché gente di sinistra si è persa e spersa ovunque. Dopo il lavoro fatto nei Comitati insieme ad alcuni del Pd e a tanti stellati abbiamo realizzato una verità: siamo noi che li abbiamo costretti ad emigrare, per contare qualcosa. E’ ora di chiarirsi

Non dobbiamo fare dei manifesti programmatici ma tirare fuori proposte di sinistra. Che dovremo mediare nella realtà capitalista ma che comunque aiutino la gente e non i potenti.
Senza chiedere la luna, quella ne aveva diritto solo Pietro Ingrao. Loro ce l’avevano lasciata la luna .

Claudia Baldini e Orietta Basso Persano

Perché NO, di Claudia Baldini

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baldini claudia 4

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C’è un club privato di alcune migliaia di persone, non eletti dai cittadini del mondo, che decide il destino in bene o in male di intere popolazioni. Queste persone con il loro seguito di partner manipolano a loro vantaggio i mercati finanziari e impongono la sudditanza della politica dei governi, strozzando gli Stati, o concedendo benessere. Chiunque si oppone a questa gang subisce o in povertà o in guerra aperta.

In questo modo i grandi Istituti commerciali, azionisti delle Banche Centrali, innanzitutto della Federal Reserve e della BCE, riescono a filtrare o trasferire quelle informazioni che servono a reggere il capitalismo mondiale. Il prezzo di beni primari, azioni, obbligazioni, titoli, valuta non sono il risultato di Economia reale e di contrattazioni libere, ma stabilite da questi banchieri liberticidi che conducono la massa dei piccoli risparmiatori e dei contribuenti e che si sono inventati le agenzie di rating specializzate come Moodys o Standard & Poor’s che determinano attraverso i governi alleati le crisi in modo da procurare cassa al capitalismo-liberismo globale.

Nessuna meraviglia che JP. Morgan entri nel governo americano direttamente, c’è sempre stato indirettamente. Nessuna meraviglia che si permettano di stilare un documento apposito a critica delle Costituzioni ‘socialiste’ dei Paesi europei del sud. Nessuna meraviglia che i potenti del mondo in ogni branchia della società si riuniscano per il Bildenberg con i loro amici a valutare ed indirizzare le economioe dei Paesi. Nessuna meraviglia che anche una insignificante giornalista, ma amica di molti, come Lilly Gruber quest’anno sia stata ammessa alla sessione annuale del Bildemberg.

Il cervello che guida il liberismo risiede in un migliaio o poco più di aziende la cui composizione azionaria è incrociata, ossia se si va a vedere sono sempre gli stessi azionisti che partecipano. Meno dell’ 1% delle multinazionali determina la gestione del 40% del totale
Perché ciò è possibile ed è un salto di qualità notevole rispetto al capitalismo del secolo scorso?
Perché il mondo ha perso le forze antagoniste.
Tutti convergono, con la ‘scusa’ della libertà di consumo, su questo modello globale. Sempre più governi di destra, sempre più dittatori disposti a massacrare i loro popoli, sempre più disinformazione, sempre più distrazioni, sempre più ignoranza. E sparisce la sinistra, non fanno sparire il nome che fa comodo per attrarre adesioni, ma hanno fatto sparire l’ideologia valoriale, convincendo che destra e sinistra non hanno più senso. Non è vero che non hanno senso, è vero che sono poca cosa.

Ancora baluardo di una forma di socialdemocrazia che si oppone al super sfruttamento e ai diritti, resta qualche Paese del nord Europa, mentre di nuovo l’America latina è nella bufera, la Cina si adegua, l’Africa ormai è della Cina. L’Europa l’abbiamo sotto i nostri occhi.
La riforma della Costituzione non è per risparmiare quel poco, non è per velocizzare le leggi è per andare verso un’oligarchia. Renzi e la sua banda di amici sono integrati in questa visione in cambio del potere.
Dobbiamo dare un segno, una spallatina a questa immonda logica di lestofanti.
E quelli che votano Sì li aiutano.
Smettiamola col dire che si o no non cambieranno nulla. Primo, già molto hanno cambiato e manca solo annullare le garanzie della legge madre. E in seguito ci si avvierebbe ad un governo di tipo presidenziale, senza contrappesi.
Non è solo la legge elettorale il male.
L’impianto da distruggere è contenuto nella Costituzione come dicono Lor Signori ‘socialista’.

Per questo il 4 deve essere NO, una valanga di NO.

Claudia Baldini

Lavoro e casa due diritti precari nell’era del job act, di M. Pasquini

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Massimo Pasquini

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Due parole per dire: questione lavoro e questione abitativa due elementi complementari e ineludibili per il Governo e per noi.
L’Italia o meglio il Governo, compresi quelli che si sono succeduti negli ultimi anni, ha abbracciato e sostenuto con ogni mezzo la estrema precarizzazione del lavoro, ha esaltato il precariato anzi lo ulteriormente affinato arrivando fino al lavoro accessorio quello pagato ( si fa per dire) con i voucher. Eppure dovremmo capire bene quello che sta accadendo in quanto spesso si sottovaluta la questione abitativa e in particolare il nesso tra la precarietà abitativa e la questione lavoro.
La domanda è: come può un governo ultraliberista pensare di affrontare la disoccupazione e la stagnazione economica con i lavori a termine, con la mobilità sospinta a piene mani ( vedi scuola e doccenti mandati da Palermo dove risiedono a insegnare nelle valli bergamasche) se abbiamo un Paese immobilizzato da una percentuale di abitazioni in proprietà elevatissima , intorno al 90 per cento?
Per fare esempi: la Germania, checchè se ne dica, è ancora la locomotiva economica, non solo ha un tasso di disoccupazione molto inferiore al nostro, non solo ha stipendi molto più elevati di quelli corrisposti in Italia ma ha il 65 per cento delle famiglie in locazione. E’ un caso se i Paesi dove la crisi ha aggredito di più i ceti popolari e il ceto medio sono Italia, Grecia e Spagna, tutti paesi con elevatissima percentuale di abitazioni in proprietà?
Come può Renzi spacciare una ripresa economica basata su mobilità e voucher se poi le lavoratrici e i lavoratori hanno case in proprietà o vivono in case di proprietà con i genitori.
Per tornare ai lavoratori della scuola ma come fa un insegnante andare da Palermo alle Valli Bergamasche se lascia una casa di proprietà e deve andare a trovare un affitto che peserà non meno del 50 per cento del suo stipendio.
E’ forse un caso il successo , si fa per dire perchè è una aberrazione etica e sociale definire questi un lavoro, se 1,7 milioni di lavoratari hanno come unico reddito quello dei voucher e non a caso per “lavori” che si svolgono in loco ovvero dove vivono.
E’ pura follia pensare politiche di precarietà abitativa e lavorativa se non si abbandonano le politiche di spinta all’acquisto, e si abbandonano di fatto politiche che aumentino l’offerta di alloggi sociali a canone sociale o agevolato.
Appare del tutto evidente che un Paese immobilizzato da una cosi alta proprietà edilizia non possa avere alcun futuro economico e sostenibile se non si abbandonano le politiche di cementificazione del territorio e di sostegno esclusivo alla rendita immobilare e alla speculazione.
Questa è secondo me una evidente contraddizione che Renzi non risce a sciogliere e che rende evidente il suo fallimento, se non basando il tutto con politche repressive anche di carattere istituzionale.
E’ un peccato che la sinistra tratti la questione abitativa con tale sufficienza e pressapochismo.

Massimo Pasquini

(Segretario generale dell’Unione Inquilini)

Scuola che fare? di L. Garofalo

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Da poche ore sono stati ufficializzati gli esiti della mobilità interprovinciale nella scuola e mi pare che ci sia chi esulta per il trasferimento ottenuto nelle vicinanze di casa propria (avendone tutte le ragioni, ovviamente), attribuendo i meriti al MIUR ed al ministro Giannini, di fatto già santificata. Ciò è un torto, nel senso che è un ragionamento errato e deviante: un diritto non può essere spacciato come un favore elargito arbitrariamente, a discrezione di qualche “santo”, per quanto potente esso sia.
Insomma, se hai raggiunto finalmente lo scopo della tua vita, la tanto attesa ed agognata stabilità professionale e persino la vicinanza della sede lavorativa, questo risultato non è certo ascrivibile al governo in carica, ma è evidentemente un tuo diritto finalmente riconosciuto e a lungo negato. Nel contempo, ci sarebbe da obiettare che la presunta “stabilità lavorativa” è ormai un miraggio proprio a causa della legge 107/2015, che ha di fatto precarizzato il ruolo docente, inquadrando la categoria nei famigerati Piani Triennali dell’Offerta Formativa, allo scadere dei quali il DS potrebbe anche non confermarti, ovvero dichiararti in stato di esubero o non più funzionale alle esigenze della scuola in cui hai prestato servizio fino ad allora.
È a quel punto che si prospetterebbe un’amara destinazione: finire nei famigerati “ambiti territoriali”, una sorta di calderoni da cui i presidi e gli Uffici Scolastici andrebbero ad attingere il personale di cui hanno bisogno come se fosse un “mercato delle vacche”. A ciò si aggiunga la controversa questione della “premialità” dei “più meritevoli” tra i docenti, in base a meccanismi o a criteri fissati dai “comitati di valutazione”, che non tengono affatto in considerazione il valore dell’insegnamento svolto in classe, nella misura in cui esaltano e privilegiano ben altri valori ed altre prerogative, per lo più funzionali alla politica promossa dal preside nella propria scuola. Perché, se non si fosse ancora compreso, è appunto di questo che si tratta: di politica, concepita soprattutto in termini clientelari, ovvero di gestione aziendalista, manageriale, affaristica della scuola, di corruttele, malaffare, favoritismi, assistenzialismi. Altro che efficientismo, meritocrazia ed altre simili baggianate, che sono fiabe per i bimbi.
Dunque, che fare? È il quesito che mette in difficoltà o in imbarazzo soprattutto chi è onesto intellettualmente. Potrei cavarmela rispondendo in modo evasivo, senza sciogliere il nodo cruciale posto dal fatidico interrogativo, che è un nervo scoperto. Rispondo sinceramente: non lo so. Se servisse scendere in piazza, manifestare, lottare, credo che converrebbe farlo. So che la famigerata “buona scuola” è in vigore, malgrado gli scioperi e le proteste (vane) del mondo della scuola.
I burattinai hanno verificato che la nostra “reazione” non sarebbe durata a lungo e che fosse un fuoco di paglia dei sindacati di categoria. Infatti, le proteste, le polemiche esternate con gli strumenti a nostra disposizione, soprattutto Internet e i social, le assemblee auto-convocate, le manifestazioni di piazza sfidando le forze dell’ordine in assetto antisommossa, tutto ciò non è servito a nulla. Le nostre lotte e le nostre proteste non sono servite ad arrestare gli infami propositi del governo e di chi lo sponsorizza. La legge 107/2015 è ormai una triste realtà con cui occorre fare i conti: la “chiamata diretta dei presidi” è passata sotto spoglie neanche tanto mentite: “chiamata per competenze”.
Il “merito” è un nome sostitutivo con cui si premieranno i servi e i leccapiedi.
Per cui ritengo che convenga restare vigili nei collegi dei docenti, pronti a reagire, magari creando un fronte unito e compatto nel corpo docente. Se possibile. Ed è esattamente questo il principale elemento di criticità e vulnerabilità della categoria docente: l’assenza di coesione interna, di solidarietà corporativa. Nelle alte sfere del potere lo sanno. Come lo sanno i presidi, che su tale punto debole insistono. Sanno che ci possono dividere facilmente, innescando contese miserabili, litigi come quelli tra i capponi di Renzo (o Renzi) nei Promessi Sposi. Basta ventilare premi di pochi spiccioli in più.
Lucio Garofalo

Rai: Slc Cgil, trasparenza su consulenze, acquisto di format, appalti, contratti conduttori e stars

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“Con la direzione di Gubitosi, nata sotto il Governo Monti, si era avviato un processo di riduzione dei compensi dei dirigenti neoassunti. Operazione che, come qualcuno afferma, avrà ridotto l’appeal per i professionisti che arrivano dal mondo dei privati, ma che aveva calmierato l’innalzamento sconsiderato degli stipendi per i dirigenti del servizio pubblico radio televisivo.” Lo afferma una nota di Slc Cgil nazionale.

“Ci sfugge il senso della polemica avviata dalle forze politiche che, con l’approvazione della “riforma della Rai”, prodotta senza aver tenuto in alcuna considerazione le critiche mosse da Slc nel corso di diverse audizioni  parlamentari, hanno attribuito una delega molto forte all’Amministratore Delegato, prevedendo nel testo di riforma deroghe a quanto stabilito in materia di reclutamento del personale e di appalti per le pubbliche amministrazioni.”

“Oggi – prosegue la nota – il Direttore Generale della Rai, a seguito dell’attribuzione dei poteri da Amministratore Delegato, ha la possibilità di decidere modalità di assunzione e retribuzioni, questione rafforzata dal fatto che, sotto il Governo Renzi, la Rai ha quotato in borsa Rai Way, di fatto privatizzando parte della società, ed ha emesso Bond ad investitori istituzionali per 350 milioni di euro, liberando l’azienda, al pari di altre società Pubbliche quotate in borsa, dal dover attribuire dei limiti ai compensi dei propri dirigenti.”

“Gli stipendi stratosferici di manager e dirigenti sono una consuetudine e un primato tutto italiano – ricorda Slc. E’ illogico chiedere alla Rai di essere competitiva, senza introdurre alcuna regola sul mercato pubblicitario e stupirsi poi di stipendi che rispondono proprio a quel mercato che non si vuole regolamentare. Ancora una volta siamo di fronte a populismi da quattro soldi ad opera di diverse forze politiche.”

“Il problema della Rai – conclude la nota di Slc Cgil – più che i compensi dei dirigenti con responsabilità apicali, è la modalità con cui si  spendono e sperperano risorse economiche per: l’acquisto di format (mediocri), in consulenze, in contratti per conduttori e star, per mantenere in essere un numero eccessivo di posizioni da dirigente (lascito delle forze politiche all’azienda che non risponde alle esigenze produttive della Rai).”

Comunicato stampa di SLC CGIL

tratto dal sito: http://www.slc-cgil.it/2016/07/rai-slc-cgil-trasparenza-su-consulenze-acquisto-di-format-appalti-contratti-conduttori-e-star/