elezioni

La grave ingiustizia della Flat-Tax. di G. Giudice

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La Flat-Tax (tassa piatta , con aliquota unica per tutti i redditi) è la proposta centrale della destra. Anche se poi i vari partiti danno cifre diverse, danno un pò i numeri, diciamo. La Flat-Tax è un progetto politico definito, che mira a mantenere alte ed accrescere le disuguaglianze e le ingiustizie fra le cassi sociali, a chiaro vantaggio dei più ricchi. Ma è bene che si sappia, non è solo la destra (la cui proposta è anticostituzionale) ma Calenda, Renzi, la Bonino e settori del PD , se pur rifiutarono la Flat-Tax propongono una forte riduzione del prelievo fiscale. Si muovono , nella sostanza, nella stessa logica. Certamente il nostro sistema fiscale è farraginoso e complicato, Ed una profonda riforma del fisco va implementata. Ma certo in una direzione opposta a quello che propone la destra, Calenda, Bonino. Renzi.

Da un punto di vista di sinistra e socialista il sistema fiscale è uno strumento privilegiato di redistribuzione della ricchezza e del potere a favore dei ceti medio-bassi. Tanto più che le disuguaglianze sociali, sia in Italia , che in altri paesi, hanno da tempo superato una soglia critica. Basta vedere i rapporti Oxfam. E ben prima della pandemia che le ha ulteriormente aggravate. In Italia (secondo Oxfam) il 20% più ricco della popolazione italiana possiede il 60% della ricchezza , nentre il 60% più povero solo 14%. In Inghilterra è ancora peggio, per non parlare degli USA. Una riforma di sinistra del sistema fiscale deve basarsi su una fiscalità fortemente progressiva, che punti a quella redistribuzione del reddito, di cui parlavo. Colpisca le grandi concentrazioni di ricchezza, con una patrimoniale ed una e vera propria tassa sulla ricchezza (finanziaria e non ) , riduca sensibilmente il prelievo sulla classe lavoratrice e tutti i ceti medio-bassi. E la riduca anche sulle piccole imprese artigiane, che, soprattutto nel Sud sono una risorsa importante. A partire , già dalla metà degli anni 80, l’egemonia liberista ha teso principalmente a ridurre le tasse, per colpire il welfare pubblico, a favore della privatizzazione dei beni sociali (Sanità e Scuola). La situazione si è ulteriormente aggravata con la nascita del “finanzcapitalismo ” ed il modello di globalizzazione da esso imposto. E che, in Europa, ha imposto politiche di austerità, tramite la rimercificazione del lavoro. Concludo citando Corbyn:”Abbiamo bisogno di una tassa immediata sul patrimonio, con energia, acqua, ferrovie e posta in mano pubblica per abbassare le bollette e aiutarci a costruire una società più giusta di pace, giustizia e ricchezza condivisa.

Giuseppe Giudice

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Conte il nuovo “faro” della sinistra italiana? di D. Lamacchia

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Si può imparare dalla storia? Non solo, si deve! Non solo i soggetti individuali, le singole persone, gli intellettuali (ci sono ancora gli intellettuali?), dalla storia devono imparare i soggetti collettivi, cioè coloro che la storia la fanno. Perché questo accenno alla storia? Perché viviamo tempi in cui sembra che dalla storia non si è imparato un gran che. Nei tempi dell’illusione facile generata dalla comunicazione facile si è persa la capacità di riflettere e approfondire e si è persa la capacità di pensare il futuro partendo dal passato. Non si sa più cos’è la “memoria storica”.

Prendiamo il caso della sinistra in Italia ed in Europa. Perché questa perdita di “egemonia culturale” così marcata? Venendo meno l’ideologia “operaista” a causa dei noti sconvolgimenti nei rapporti di produzione determinati dall’”era digitale” la risposta è stata la virata liberista che ha fatto perdere il legame con il proprio soggetto sociale di riferimento, il mondo del lavoro e del disagio sociale. Ha dominato l’illusione che la flessibilità nelle relazioni economico sociale avrebbe apportato e distribuito ricchezza, benessere. Così non è stato ed è sotto gli occhi di tutti. Ad un “pensiero politico forte” si è sostituito un “pensiero politico debole” creatore dell’illusione e, come direbbe il vecchio Marx, di “falsa coscienza” diffusi, in una parola, di populismo, che avrebbe spazzato via il sistema della corruzione e dell’ingiustizia. Non è stato così come è sotto gli occhi di tutti. La domanda “pesante” è, è ancora possibile dare una prospettiva al socialismo? Sebbene liberato dai dogmi operaisti io credo di sì perché le ingiustizie non sono certo finite! Le contraddizioni nel tessuto socio-economico sono ancora tutte al loro posto, da essere usate al fine di cambiamenti profondi in senso egualitario. Esiste il soggetto politico che si può fare carico del compito? Non c’è purtroppo o non ancora. Non può essere l’attuale PD per il groviglio di vecchio “atlantismo” e liberismo che hanno caratterizzato le sue politiche, specie con l’arrivo di Enrico Letta alla segreteria, né sono credibili i vari agglomerati minoritari alla sua sinistra. L’unico a mostrare più saggezza e credibilità è Bersani che però tentenna nella sua capacità di azione, colpa anche dell’improvviso calare come mannaia dell’evento elettorale. Insomma ciò di cui si avverte necessità è la formazione di un soggetto politico forte che raccolga la sfida di rilanciare la prospettiva del socialismo nel nostro paese e nel mondo e di creare una cultura politica di sinistra democratica e libertaria diffusa, capace di fronteggiare l’onda conservatrice.

Come si può constatare è ancora presente una frazione di quel movimento che incarnò in modo maggiore la spinta populista. Mi riferisco al M5S e a Giuseppe Conte che ne è l’attuale reggente. Sono note le vicende governative di cui sono stati protagonisti fino alla caduta di Draghi e all’attuale situazione elettorale. Come si colloca il M5S nel quadro delineato di una prospettiva socialista e di sinistra? A questa domanda Conte ha risposto con un ritornello noto, frutto di “pensiero debole” secondo cui le categorie destra/sinistra appartengono al bagaglio del novecento e che ora si deve far riferimento ai programmi e ai problemi (sic). Addio memoria storica! Non si comprende quindi come sia possibile che vengano da esponenti del vecchio PCI inviti a votare M5S e a considerare Conte come capace di incarnare istanze sociali e prospettive che sono proprie della sinistra. Vero è che le proposte e i programmi non mancano di attenzione al sociale. L’autonomia dimostrata sul piano delle scelte internazionali è apprezzabile ma non mancano di ambiguità. Vedi l’orientamento troppo “filo cinese” e lo scetticismo europeista mostrato spesso in Parlamento europeo e dal loro garante Peppe Grillo.

Conte ispira onestà. Senza dubbio, ma non è l’unico! Una “buona politica” non è solo una faccia pulita.

Una buona politica non è fatta solo di categorie della morale e del sentimento è fatta da programmi giusti e organizzazione, attenzione agli interessi in gioco, agli obiettivi, alle alleanze, alle opportunità contingenti e alle strategie. Insomma va bene come alleato, “compagno di strada” non come “nuovo faro della sinistra”. No, Conte e il M5S non sono di sinistra! Malissimo comunque ha fatto il PD a rifiutare un’alleanza con loro (ipotesi Bersani), alleanza che ha dimostrato alle elezioni “locali” di essere vincente.

Dopo le elezioni questo avrà un peso nella discussione sul futuro della sinistra in Italia. Ecco un tema centrale, cosa accadrà dopo il voto? Sarà possibile avviare un progetto per un nuovo soggetto unitario che dia futuro alla sinistra tutta? Chi ne può essere protagonista? Si guardi al dopo voto quindi e si pensi a dare voce forte a chi potrà essere protagonista di questo obiettivo. Il compito inizia ora, prima del voto. Se dal voto le forze vocate a questa idea venissero mortificate il progetto non avrebbe futuro facile. Dal voto devono uscire forti le forze che vogliono una prospettiva chiaramente di sinistra perché si possano concretamente spostare gli orientamenti anche nei partiti attuali. In primo luogo il PD. Se svolgi una critica di sinistra e a sinistra che devi votare! L’alternativa al “male minore” non può essere il “tanto peggio, tanto meglio”. Conte non è il Melenchon italiano.

Donato Lamacchia

Il caos regna a Berlino e getta sull’Europa un’ombra cupa. di A. Angeli

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II giorno dopo il voto i display che riproducono i risultati illuminano una Berlino che si appresta a salutare i 16 anni di potere della Merkel. Non domani, poiché il risultato del voto proietta sulla società politica Tedesca una situazione caotica, di difficile composizione fino a indurre a pensare che prima di dicembre non sarà possibile formare un governo. Infatti, nessun partito ha superato il 26% dei voti e il divario tra i due maggiori partiti premiati dal voto, SPD e CDU/CSU risulta minimo, pochi decimali. Le altre forze politiche, i verdi (GRUNE) e i liberali (FDP) seguono con risultati appaganti ma non corrispondenti alle attese, più lontani quelli di Die Linke. Nel frattempo, la Merkel continuerà a governare. Insomma, un risultato che ha sorpreso e rimescolato i pronostici di molti osservatori. Fin dall’inizio della campagna i verdi e l’unione cristiano-democratica sono stati i favoriti, rivelandosi nel corso della campagna una valutazione sbagliata, poiché i candidati dei due partiti non sono riusciti a convincere gli elettori di essere degni della fiducia richiesta agli elettori. Invero, anche il Partito socialdemocratico, guidato da Olaf Scholz, ha tradito le aspettative che via via sono andate crescendo fino ad aumentare la stima dell’elettorato. Con il risultato del voto è svanito anche questo obiettivo.

Un successo della SpD poteva rappresentare un ottimo risultato sia per i Tedeschi sia per l’Europa. La Germania si trova ora di fronte a una serie di sfide urgenti, crescenti disuguaglianze, infrastrutture fatiscenti e cambiamenti climatici distruttivi. Per questo le elezioni rappresentavano quindi un’opportunità per il paese di tracciare un corso migliore e più equo per il 21° secolo. Invece, il risultato consegna al presente una Germania bloccata, nonostante il lavoro pragmatico della Merkel: attenta, cauta, avversa a grandi cambiamenti , e purtuttavia non pienamente rispondente al compito di guidare un grane Paese con una rilevante responsabilità nell’ordine mondiale del 21° secolo. Eppure, non sono mancate nei candidati alla cancelleria plateali recite di avvicinamento al metodo Merkel, rivelatesi mimesi contraffatte e per niente riconducibili alla serietà del metodo e del prestigio dell’esempio che si stava copiando. Annalena Baerbock, la leader dei Verdi, ha cercato di coltivare un’immagine di rigore e competenza, imitando la Merkel. Incolpata di uno scandalo di plagio, e forse ritenuta dagli elettori senza esperienza di governo, presto ha perso l’appeal e il suo primo vantaggio nella campagna ed è finita portando il suo partito a solo il 14% dei voti. Anche Armin Laschet, successore della Merkel alla guida della Democrazia Cristiana, ha tentato di rappresentare un’aura di competenza ed efficienza. Ma lo sforzo è stato minato da una campagna irregolare e disseminata di errori, incapsulata dalle sue battute sorde durante una visita alle vittime delle inondazioni in estate. Nel condurre il partito al 24 per cento, ha presieduto a una performance storicamente scadente. Tuttavia, cercherà ancora di mettere insieme una coalizione. Poi c’è Scholz. Pur candidato per il Partito socialdemocratico, ha fatto ogni sforzo per associarsi al metodo Merkel, proponendosi, piuttosto che con Laschet, come vera opzione di continuità. Come vice cancelliere e ministro delle finanze nell’amministrazione della signora Merkel, la manovra è stata facile: ha persino adottato il gesto della mano del “triangolo del potere” tipico della signora Merkel. Ha funzionato, fino a un certo punto. Ma il quasi 26 per cento conquistao dal suo partito non è sufficiente per assicurare a Scholz la carica di cancelliere.

A prima vista la convergenza tra i candidati, aspiranti alla Cancelleria, rende il quadro politico difficile . Dopo 16 anni di governo della signora Merkel, il paese si è stabilizzato in uno status quo apparentemente incrollabile: ma economicamente, socialmente ed ecologicamente, c’è molto da cambiare. L’economica Tedesca è fatta di esportazione orientata al commercio internazionale e può vantare con un consistente settore manifatturiero. La Germania premia soprattutto la stabilità monetaria. Tutto ciò che potrebbe influenzare la competitività internazionale del Paese è escluso in via pregiudiziale e stragiudiziale. Inoltre, il freno all’indebitamento, una legge cementata nella costituzione nel 2009 che vieta i deficit di bilancio, pone un duro limite a ciò che è possibile: ci sarà poco spazio per un programma di investimenti finanziato dal debito o per grandi spese infrastrutturali. In questo contesto, nessuna ristrutturazione fondamentale dell’economia sembra fattibile. Apparentemente, l’economia ha successo. Ma i guadagni economici non sono stati ampiamente condivisi e equamente distribuiti, tanto che la disuguaglianza della ricchezza è aumentata – l’1% più ricco possiede quasi un quarto di tutta la ricchezza – e la Germania ha uno dei più grandi settori a basso salario tra le nazioni nell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Circa un lavoratore su cinque, quasi otto milioni di persone, guadagna meno di 11,40 euro, per ogni ora di lavoro. Il malcontento sociale, di conseguenza, è in aumento. C’è stato un notevole rinnovamento degli scioperi negli ultimi 10 anni e il termine “società di classe”, precedentemente bandito, è tornato nel dibattito pubblico. La rabbia più amorfa, che trova espressione a sostegno dell’estrema destra Alternativa per la Germania e delle teorie del complotto anti-vaccinazione, si è diffusa nella società. Ci vorrebbero cambiamenti profondi per affrontare alle radici le difficoltà in cui si trova oggi la Germania. In più, se indirizziamo la nostra attenzione ai risultati del voto e agli uomini chiamati a governare questi passaggi, nessuno dei maggiori partiti sembra in grado di assumersi l’incarico.

Anche sul fronte della lotta alla crisi climatica è improbabile un approccio ambizioso per quanto riguarda una politica di transizione climatica. Prescindendo dalle difficoltà a mettere insieme una coalizione e scontata una improbabile intesa per una colazione nella quale comunque i verdi saranno sicuramente presenti e quindi anche il loro impegno a “rendere possibile l’impossibile”, la presenza dei Liberal Democratici – un partito di liberali classici e imprenditori per i quali il mercato e le nuove tecnologie dovrebbero risolvere la crisi climatica, non lo Stato – metterà un forte freno a una politica di svolta nella lotta alla crisi climatica. Ma superato eventualmente questo scalino delle difficoltà sullo sfondo permangono molteplici crisi e scalini da salire. La pandemia continua a mettere a dura prova il Paese, la NATO ha subito una storica sconfitta in Afghanistan e le inondazioni di quest’estate prodotte dai cambiamenti climatici hanno devastato vaste aree di quel Paese causando quasi 200 vittime. Sullo sfondo poi pesano i temi della politica internazionale: dai rapporti difficili con gli USA, specie dopo l’Afghanistan, la costruzione di una forza militare tutta europea come risposta a questa crisi, dal gasdotto Russo ai problemi dell’Africa e dei migranti, senza ignorare i difficili e controversi rapporti con la Turchia. Individualmente, ogni problema ha un risvolto significativo. Presi insieme, equivalgono a un grande e complesso mondo su cui la Germania esercita una sua influenza e svolge un suo ruolo di potenza. Poi c’è il momento europeo, dove è attesa e richiesta una leadership decisa, audacie e innovativa. Tutto il resto è un’attesa, una speranza. Una scommessa.

Alberto Angeli

2 Giugno 1946: dalla Monarchia costituzionale alla Repubblica. di U. Signorelli

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2 giugno. Viva la Repubblica, grazie Nenni! - Avanti

Il 2 Giugno è la festa della Repubblica, l’atto fondativo, che lo stesso popolo italiano ha decretato con il proprio voto nel referendum istituzionale del 1946.

Il vero dramma è che molti lo ignorino e che non si senta in maniera diffusa e unitaria il desiderio di festeggiare.

Osservo solo l’accettazione fredda di una festa del tutto svuotata di senso, snaturata dai soliti rituali ufficiali: parate militari, evoluzioni di frecce tricolori alla presenza delle massime autorità dello Stato.

Una Repubblica nata dalla Resistenza, fondata su una Costituzione che “ripudia” la guerra noi non la festeggiamo con i fuochi pirotecnici, i balli in piazza e i pranzi collettivi come fanno gli americani il 4 Luglio e i francesi il 14.

Assistiamo ai tentativi costanti di tutte le destre di cancellare il 25 Aprile, che ci ricorda la vittoria sul nazifascismo, come la festa intestata all’Anpi, così come il Primo Maggio sarebbe appannaggio dei sindacati, ma perché il 2 Giugno non è sentito come la festa della libertà e della democrazia?

La Repubblica è nata dopo una guerra anche civile, in cui gli italiani si sono venuti a trovare su due fronti contrapposti e la barricata non è stata abbattuta del tutto.

La nascita di una nazione è importante per il suo sviluppo successivo come quella di un bambino. Il 2 Giugno 1946 è nata la Repubblica italiana, un po’ “in sordina, senza gesti giacobini, senza rappresaglie e senza comitati di salute pubblica: Repubblica in prosa e a lumi spenti”, così Calamandrei; gli italiani hanno dato “scacco al re”in modo civile e composto: una grande prova di maturità politica e di resistenza morale, dopo 20 anni di fascismo e 3 di guerra; la penisola trasformata in un enorme campo di battaglia in cui tutta la popolazione venne coinvolta, con sofferenze e patimenti, mai prima di allora conosciuti. Una situazione che ha messo a rischio la stessa unità nazionale. Unità che la Resistenza riesce a ricomporre solo in parte, maggiormente dove spira il “vento del nord”, mentre il “regno del Sud”, liberato dagli alleati vede il riorganizzarsi dei tradizionali gruppi dominanti, fermi al potere con il beneplacito degli alleati. Un’Italia divisa geograficamente, che rischia di sfasciarsi insieme alla sconfitta della guerra fascista e che dal giugno del ’45 è guidata da un uomo integerrimo: Ferruccio Parri, messo però nella più assoluta impossibilità di agire dal ferreo controllo alleato che è responsabile in primis della mancata epurazione delle più alte sfere dello Stato e della burocrazia. Per i partiti antifascisti una reale possibilità di rinnovamento è la Costituente e la vittoria della Repubblica al Referendum istituzionale.

Anche i cattolici votano per la Repubblica, ma ben 6 degli 8 milioni di voti democristiani vanno alla monarchia; certo l’atteggiamento di De Gasperi non è adamantino, da politico avveduto lascia libertà di coscienza al proprio elettorato, ben consapevole che se la Chiesa non prende una posizione pubblica netta, è però filomonarchica tanto da ritardare il rientro in Italia di don Sturzo, sincero repubblicano. La Dc è inoltre una convinta sostenitrice del voto alle donne, in quanto le reputa maggiormente influenzabili dalla Chiesa. La monarchia sabauda, anche in questo frangente, gioca sporco, ben salda sul trono, cerca di rimandare la prova elettorale per riconquistare consenso, ben sostenuta dai partiti di destra: liberali, monarchici e fascisti, che rifanno capolino e in seguito ingrossano le fila de L’uomo qualunque di Giannini.

Anche Togliatti con la solita ambiguità e doppiezza, lascia la libertà di coscienza al proprio elettorato nella paura di perdere parte del proprio elettorato popolare, seguendo anche le direttive di Mosca che in accordo con gli alleati lasciano indeterminata la questione della monarchia.

I Socialisti sono gli unici che fanno una fortissima campagna elettorale per la Repubblica, senza se e senza ma, e Pietro Nenni con lo slogan “La Repubblica o il caos” ne è l’emblema, il vero Padre della Repubblica che si riallaccia al filo rosso socialista del Risorgimento e della Resistenza.

La fotografia lo coglie nell’ultimo infiammato appello radio per la Repubblica.

Il profilo severo di donna turrita, inserito nella scheda del referendum sulla forma istituzionale dello Stato dai fautori della Repubblica, è un’immagine classica, l’unica immagine che riescono a proporre i partiti che portano avanti la battaglia per la Repubblica.

Casa Savoia ripropone lo stemma monarchico. Una monarchia che ricorre al ridicolo del re di Maggio, ultima carta da giocare visto che ormai non si può più rimandare, mentre avrebbero dovuto, con dignità, allontanarsi dall’Italia, che hanno loro sì portato nel baratro del fascismo, della guerra e della distruzione, non solo non fanno alcun passo indietro, ma con il supporto delle gerarchie cattoliche, conducono una campagna referendaria serrata, accusando poi i fautori della Repubblica di “brogli”elettorali.

La Repubblica si e’ poi presa la sua rivincita e l’immagine di una donna giovane e bella ne è diventata la rappresentazione.

La giovane donna sorridente che alza sulla propria testa la prima pagina del Corriere della Sera in cui campeggia la scritta “è nata la Repubblica italiana” e’ pubblicata dal settimanale Il Tempo il giorno della proclamazione della Repubblica. Una foto scattata da Federico Patellani.

L’avere ignorato per 70 anni l’identità di questa donna ha reso più facile farla diventare l’icona di tutte le donne e delle loro lotte, ma, grazie ad un “crowdsourcing intorno a un sorriso”, quel bellissimo volto ha un nome e un cognome: Anna Iberti, che all’epoca aveva 24 anni e lavorava al giornale Socialista l’Avanti.

La nostra Repubblica nasce tra luci ed ombre, per questo dovremmo festeggiarla tutti nel segno dell’unità, della democrazia e della libertà.

Buon settantacinquesimo anno Repubblica Italiana!

Ulisse Signorelli

Il voto francese e cosa può significare per noi. di A. Benzoni

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Alberto Benzoni

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Appena due anni e mezzo fa, il partito di Macron raggiungeva la maggioranza assoluta alla Camera dei deputati. Oggi, nei settanta o poco più comuni con una popolazione superiore ai cinquantamila abitanti dove si votava per il ballottaggio, nessuno dei candidati eletti è stato eletto sotto le sue bandiere.

Ancora due anni e mezzo fa poco meno del 50% dell’elettorato era rappresentato dai due partiti in lizza per le presidenziali; oggi il numero dei consiglieri eletti da Lrm e dal Rn è tra il 5 e il 10% (secondo alcuni, la percentuale sarebbe anche più bassa).

Nel 2017 non c’era un solo deputato verde. Oggi i verdi sono presenti nelle coalizioni vincenti in più di quaranta comuni; e hanno il sindaco quasi sicuramente a Marsiglia e anche a Lione, Bordeaux, Strasburgo, Grenoble oltre che in altre città medio grandi.

Nel 2017 il partito socialista sembrava sull’orlo del disfacimento: oggi riconquista i suoi vecchi bastioni a Parigi, nell’Ovest e nel Sudovest della Francia e strappa al Pcf, Saint Denis, bastione rosso dal 1929.

Nel 2017, la sinistra, nel suo insieme, era debole e divisa. Oggi ha improvvisamente recuperato, almeno a livello locale, una capacità coalizionale che le ha consentito di vincere nella maggioranza dei confronti

Nel 2017 l’avvento di Macron sembrava aver messo in soffitta la tradizionale contrapposizione destra/sinistra. Oggi questa è tornata all’ordine del giorno

In tutto questo non c’è nulla di straordinario o di imprevedibile. Semmai un ritorno alla normalità.

Prima osservazione: l’uomo solo al comando e il “né di destra né di sinistra” non funzionano in un paese, come la Francia, fortemente politicizzato e strutturato (a rompere gli schemi, dal dopoguerra in poi, c’è stato solo De Gaulle; ma De Gaulle, a differenza di Macron, incarnava un progetto forte e comprensibile).

Il Nostro si è del resto prontamente adeguato al nuovo contesto. Precipitandosi ad accogliere tutte le 151 proposte della Convention citoyenne sul clima (e a sottoporre al referendum le due più importanti). La scritta sul muro che lo terrorizzava avrebbe finora le sembianze di un populista; ora non più.

La vittoria ecologista è anche quella dei socialisti (buoni i loro risultati a livello di sindaci, soprattutto nell’ovest, nel centro-sud-ovest, a Parigi e nella sua cintura; tolto al Pcf Saint Denis, che reggeva dal 1929); e soprattutto, di una generale capacità coalizionale: verdi, formazioni civiche e, assieme a loro, i partiti tradizionali della sinistra.

Hanno votato molto pochi è vero; ma è anche vero che, nel generale disincanto, hanno votato i più motivati e non le truppe cammellate.

Tutto bene” mi direte; “ma dov’è il messaggio per l’Italia”?

Purtroppo il messaggio non c’è. Perché, qui e oggi, non c’è nessuno in grado di riceverlo.

Perché i verdi italiani sono stati massacrati. Da quadri della sinistra antagonista alla ricerca di una collocazione meno impegnativa; dalla tutela soffocante e censoria degli ex comunisti; da giovani virgulti in attesa di più luminosi destini; e, infine, da una classe dirigente che trasuda tristezza da ogni suo poro.

Perché i socialisti sono scomparsi dall’orizzonte; e non solo per colpa degli altri.

Perché la sinistra, a ogni livello è travolta da un passato di sconfitta e dedita a liti perpetue, che rendono pari a zero la sua capacità coalizionale.

E, infine, perché i comuni e la democrazia comunale sono stati le grandi vittime delle riforme istituzionale, del protagonismo di governatori e/o sindaci, salvatori della patria e, infine, della politica di austerità.

Ma, allora, l’unico messaggio importante e cogente che viene dalla Francia è quello di ripartire dai comuni. Facce nuove, cause vere, nuove forze in campo. Libere da qualsiasi legame con un passato che ci condiziona e ci uccide a poco a poco.

Alberto Benzoni

Un grosso schiaffo a Salvini. di G. Giudice

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Giudice Giuseppe

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Una reazione molto a caldo, ma il grosso schiaffo a Salvini in Emilia è l’unica cosa che rende veramente felice. Non sono emiliano, abito a molta distanza da quella regione. Credo che però l’alta affluenza alle urne sia stata il motivo della sonora sconfitta di Salvini che è stata pesante (ma in Emilia!!) …..una forte reazione democratica e popolare contro una campagna elettorale condotta nel modo più indegno possibile (ma del resto cosa ti vuoi aspettare da un reazionario?) , seminando odio e paura, criminalizzando intere comunità. Certo , non mi faccio illusioni: la Lega è resterà forte, la destra è maggioritaria nel paese, amministra la gran parte delle regioni. Ed ero e resto distantissimo dal PD non credendo affatto in una sua mutazione genetica a sinistra e socialista. E’ una forza organica all’attuale modello economico e sociale (ma come, con diverse declinazioni è la Lega). Ma lo schiaffo sonoro a Salvini ci voleva.

Certamente la situazione in Italia resterà incerta e confusa per molto tempo, ma credo che le elezioni anticipate si allontanino. Poi avremo modo di approfondire meglio , a mente più fredda. Resta a sinistra del PD un vasto e potenziale spazio aperto che certo una sinistra ribellistica e veterocomunista radicalmente minoritaria nella visione non potrà mai coprire ed è destinata alla piena estinzione. Come ci sarà da riflettere sul destino del 5s (che non ho mai amato).Il problema è che alla sinistra del PD c’è un potenziale spazio per una sinistra socialista alla Sanders e Corbyn , critica del “pensiero unico” e critica del capitalismo nella sua forma odierna. Il problema è di individuare le soggettività e costruire una cultura politica organica , cose notoriamente non facile nel bailamme di questo maledetto paese.

Giuseppe Giudice

Per i cittadini del NO “liberi e consapevoli”, di P. Gonzales

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gonzales

Il quotidiano la Stampa riporta che Alessandro Di Battista (Movimento 5 Stelle), durante una incontro con gli operai presso la fabbrica di Riva di Chieri, alla specifica domanda se i Cinque Stelle andranno al governo avrebbe risposto: “Io non lo so, perché gli italiani li vedo molto rincoglioniti”.
La sua affermazione risulta grave e non veritiera se non a uso e consumo per coloro che ritengono che tutti siano intelligenti e trasparenti se votano i loro candidati o partiti e sono, invece, non a posto con la testa se votano e preferiscono altri candidati e partiti.
Personalmente non mi ritengo di rientrare nella categoria degli italiani a cui fa riferimento e, quindi, rinvio a lui tale affermazione ricordandogli che nel suo incarico e ruolo dovrebbe “fare cultura” e opporre ragionamenti meno legati a considerazioni basate sugli umori del momento per raccattare qualche voto in più e far presa sulla pancia dei cittadini.
Quali sono gli elementi che ha seriamente, profondamente e professionalmente valutato ed esaminato il deputato-psicologo Di Battista per affermare di aver visto e, ovviamente, incontrato molti cittadini “rincoglioniti”? Quali sono le sue ragioni, su cosa si fondono? Che ambienti frequenta?
Ricordo a me stesso, prima che al deputato Di Battista, che sarebbe ora di abbandonare i “vaffa day” e di non fare catalogazioni offensive nei confronti dei suoi connazionali (tutti, nessuno escluso!).
Il voto del 4 dicembre 2016 è stato un risultato non tanto e non solo per la campagna fatta dai movimenti e partiti contrari alla deforma costituzionale, ma è stato il voto di intelligenze libere e capaci di ragionare senza condizionamenti.
Le ragioni del NO sono state quelle dei vari giuristi e dei vari Comitati per il NO, non dei partiti o dei movimenti come i 5 Stelle!
Il merito va attribuito soprattutto al lavoro dei Comitati per il NO ed è loro ascrivibile e non ai partii del NO che hanno espresso la loro contrarietà principalmente per andare contro Renzi ed a quel PD ed ai suoi alleati!
La battaglia sui contenuti e sulle libertà che venivano ad essere intaccate e limitate dalla “deforma renziana” sono state portate avanti dai Comitati per il NO ed hanno convinto la stragrande maggioranza degli italiani, gioventù compresa.
E’ possibile, onorevole Di Battista, che in poco più di 24 mesi la maggioranza degli italiani si sia “rincoglionita”?
Credo, invece, che in questi 24 mesi i cittadini siano diventati più saggi, più attenti e più consapevoli nel valutare le proposte politiche e le persone che si candidano a governare questo nostro Paese che, ancora oggi, vorremmo difenderlo dagli assalti dei qualunquisti e del loro vuoti messaggi elettoralistici!

Paolo Gonzales

Una via intitolata non è solo un ricordo! di P. Gonzales

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La scomparsa di Giacomo Mancini ha lasciato un vuoto difficilmente colmabile da altro esponente politico meridionale e nazionale, così come la sua figura e storia politica non hanno elementi di confronto con figure di spicco del panorama politico della cosiddetta seconda Repubblica. Mi riferisco sia a parlamentari appartenenti all’area socialriformista che alle altre aree partitiche.

Giacomo Mancini ha interpretato, da attore protagonista e, spesso da regista, la storia del nostro Paese sia nel contesto politico che in quello istituzionale, economico e sociale. Ha avuto parte attiva nella resistenza e, successivamente, nella storia del meridionalismo dal dopoguerra in poi; ha interpretato in modo positivo e concreto il suo ruolo parlamentare facendo in modo che intere generazioni si misurassero con i grandi temi ed altrettanto grandi valori della vita sociale e politica.

E’ stato il primo ministro ambientalista, urbanista di grandi intuizioni ed un grande ministro della Sanità, oltre che dei LL.PP. e del Mezzogiorno!

Si è attivato, con forte senso di responsabilità, per l’affermazione delle conoscenze; per la migliore interpretazione dei bisogni e delle necessità dei giovani fornendo risposte politiche praticabili.

Non ha mai dimenticato la difesa dei meno abbienti; le regole del vivere democratico e del rispetto delle istituzioni. E’ stato al fianco di coloro che giustamente si battevano per conquiste civili e sociali più avanzate quali il divorzio e l’aborto e la sua storia di socialista cosentino si è sempre intrecciata con la storia del nostro Paese.

Ecco i ricordi più immediati che mi vengono in mente ripensando al lungo periodo di collaborazione, iniziato concretamente nel 1968 e, nel ricordarlo a distanza di tanto tempo dalla sua scomparsa, vorrei rispettare la sua figura impegnandomi nel tentativo di ragionare di politica così come mi ha insegnato a fare (tenendo sempre presente i miei limiti).

Giacomo Mancini, con il suo impegno, ha dato un senso al socialismo riformista italiano ed europeo e come sindaco socialista ed urbanista, ha fatto in modo che la nostra città di Cosenza non fosse più una “stretta città provinciale” ed ha accompagnato la cittadinanza tutta verso il suo concreto rinnovamento.

Una delle sue caratteristiche più profonde di uomo politico è stata quella di far comprendere le ragioni culturali e filosofiche dell’essere socialista ed ha fatto ciò, senza arroganza alcuna, attraverso il suo comportamento ed il suo modello di vita (che ritrovo nei suoi appunti che mi trasmetteva nel periodo di collaborazione).

Non ho mai fatto un bilancio del nostro rapporto, poiché la sua scomparsa non ha interrotto il mio dialogo con il suo modo di pensare e di vivere il suo essere politico. Ciò mi permette di poter esprimere alcune considerazioni politiche da socialista avendo sempre presente i bisogni della classi popolari (tanto cari a Giacomo).

E’ il modo migliore di ricordare la figura di Giacomo Mancini non è solo quella di rendere un doveroso omaggio ad un cittadino di valore, ma è la scelta coerente di definire con lui una fase di continuità non solo ideale ed emotiva.

La decisione dell’amministrazione di Roma Capitale è lodevole, ma l’intestazione toponomastica di una via non è e non deve essere solo un ricordo!

L’intestazione della via per noi socialisti assume il significato di dover lavorare ancora di più politicamente per poter offrire ai giovani di oggi un ricordo concreto di un grande socialista cosentino di valore internazionale.

E’ la nostra richiesta di partecipazione socialista, attiva nel confronto politico in atto nel Paese, che non deve interrompersi!

Sono certo che Giacomo Mancini ci avrebbe incoraggiato in tal senso in questa prossima campagna elettorale ed avrebbe invogliato tutti i suoi collaboratori, amici, conoscenti, pur se collocati in posizioni differenti nella stessa area di sinistra, a fare “squadra”.

Oggi, noi cosentini, siamo più orgogliosi della lodevole iniziativa di Roma Capitale e ringrazio gli amministratori, così come il Sindaco il prima persona per la decisione ed il Vice Sindaco Luca Bergamo per il contenuto del suo intervento, di alto spessore, che oggi ha fatto nella cerimonia.

La presenza di tanti compagni di base, di iscritti e la partecipazione di compagni autorevoli di fatto ha sostituito le assenze degli attuali dirigenti nazionali del PSI, certamente impegnati in attività per loro più importanti.

Un mio personale grazie a tutti i presenti ed a coloro che hanno risposto positivamente al mio invito a partecipare, così come a tutti coloro che, per ragioni più che comprensibili, hanno espresso un forte rammarico per la loro assenza.

Ma erano presenti a Via Giacomo Mancini con il cuore, con lo spirito e con una emotività che tutti abbiamo avvertito come se fossero accanto a noi.

Un grazie ancora al Sindaco di Rende che con la sua partecipazione attenta ha condiviso un momento particolare di storia non solo cosentina ed avvicina le due comunità di Cosenza e di Rende stessa.

Avverto il piacere, in chiusura di queste mie brevi riflessioni, di richiamare una delle tantissimi e illuminate riflessioni ed analisi politiche di Giacomo Mancini, quando si rivolgeva ai giovani: “La gioventù calabrese è la gioventù meno felice del nostro Paese…. È la gioventù senza giovinezza … e senza prospettiva di un dignitoso lavoro. Ai giovani i socialisti rivolgono un appello di mobilitazione e di presenza ed assumono l’impegno solenne ed immediato di non far cadere la grande e non rinviabile questione giovanile… Questo è l’impegno dei socialisti nei confronti delle elettrici e degli elettori delle classi giovanili e delle loro famiglie. Noi socialisti ci batteremo in loro favore”.

Noi socialisti e riformisti, con Giacomo Mancini alla guida, abbiamo portato avanti questo impegno negli anni, ma vista la situazione giovanile di questi tempi che non riguarda solo ed esclusivamente la gioventù calabrese, mi domando e chiedo se i prossimi candidati alle elezioni avranno pari impegno?
Una volta eletti nel ruolo di parlamentari o di consiglieri negli enti locali, si “batteranno per superare la grande questione giovanile tutta italiana” con lo stesso suo spessore culturale e con pari incisività politica?

Il destino delle comunità è legato alla capacità dei futuri governanti di incidere positivamente e concretamente per determinare le migliori condizioni di crescita e sviluppo per le nuove generazioni.

Se ciò corrisponde al vero Giacomo Mancini, è stato un politico che ha vissuto la sua vita per dare un futuro migliore (culturale, democratico, garantista e professionale) non solo a noi meridionali ma a intere generazioni del nostro Paese.

Ciao Giacomo

Paolo Gonzales

P.S. – Mi rammarico, purtroppo, di non essere stato in grado di farlo appassionare alla “pallacanestro”!

I socialisti denunciano la incostituzionalità delle leggi elettorali. No ai dilettanti.

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convegno campobasso leggi elettorali

Nella prestigiosa Sala del Consiglio Comunale di Campobasso, si è tenuto il’8 gennaio 2018 il previsto Convegno sul tema della incostituzionalità delle leggi elettorali nazionale e regionale, promosso da Socialisti in Movimento.
Alla presenza di numerosi compagni e dei rappresentanti delle altre forze politiche,sono intervenuti il Presidente del Consiglio comunale Dr. Michele Durante, il Dr. Michele Barone,esperto di diritto Costituzionale,ha relazionato il Sen. Felice Besostri del coordinamento degli Avv.ti anti-Italikum e promotore dei ricorsi sulla incostituzionalità dell’attuale legge nazionale, ha concluso i lavori l’On.Angelo Sollazzo di Socialisti in Movimento.
E’ stata rilevata la assoluta inadeguatezza dei promulgatori delle due leggi ed il dilettantismo dimostrato nel promulgare le regole elettorali che sono manifestamente incostituzionali.

Dedicato a chi gioisce per la presenza del simbolo socialista, di A. Potenza

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Aldo Potenza

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Ovviamente nessuno sinceramente può pensare che il PSI da solo possa eleggere qualcuno, sarebbe solo un atto di pura testimonianza che non guasterebbe, ma non consentirebbe l’elezione di qualche parlamentare considerata anche in passato la condizione necessaria per esprimere una presenza politica, ma, come i fatti si sono incaricati di dimostrare, non sufficiente a causa delle scelte compiute.
Ciò detto sono altrettanto convinto che se il simbolo fosse presentato a sostegno di FI, Lega e Fratelli d’Italia, nessuno farebbe salti di gioia e lo voterebbe. Quindi oltre alla presenza del simbolo conta l’alleanza politica che si propone.

Fatta questa premessa, ci sono socialisti che hanno contrastato la legge elettorale precedente e quella attuale; che hanno votato NO al referendum confermativo delle modifiche costituzionali; che hanno avversato la così detta buona scuola; che hanno fortemente criticato il job act; che hanno avversato il PD renziano quando ha considerato i corpi intermedi fastidiosi intralci alla politica con la sola esclusione della Confindustria, ed altro ancora.

In altre parole, questi compagni hanno avversato una politica, peraltro sostenuta dall’attuale PSI, frutto della guida renziana del PD che ha portato la sinistra nell’attuale disastrosa condizione.
Mi sia consentito di osservare che proporre ancora l’alleanza con il PD, anche se questa volta viene proposta assieme ad altri e con l’esposizione del simbolo, politicamente altro non è che la continuità di una politica che abbiamo avversato e che con le varie elezioni che si sono succedute è stata ampiamente bocciata anche dall’elettorato (Sicilia etc….). Dove sarebbe la novità?

Non basta la retorica del simbolo, questo deve rappresentare una cesura politica con il passato, altrimenti all’inganno del partito corsaro, mai esistito,si prosegue con l’appello a sostenere un simbolo dietro il quale si nasconde una continuità politica che rappresenta il motivo di tanti abbandoni, di molte divisioni e degli insuccessi elettorali del partito di riferimento ovvero il PD.
Mi dispiace compagni io non gioisco, anzi.

Alla domanda che spesso viene rivolta, ma ora che altro avremmo potuto fare, rispondo mestamente non chiedetelo a noi, ma a chi vi ha ridotto in queste condizioni a partire dal 2013 e alla rinuncia a svolgere una autonoma azione parlamentare.

Aldo Potenza