In Francia, alle regionali della scorsa primavera, ha votato il 33% degli elettori. Lì, il disfacimento del sistema dei partiti e, in particolare, lo spappolamento dello schieramento di sinistra, è giunto ai suoi livelli più estremi. Alle presidenziali, invece, la partecipazione sarà intorno all’80%. Lì la personalizzazione della politica, con il Prescelto che fa e disfa e “decide tutto lui” è giunta ai suoi livelli più estremi.
In Germania, alle ultime politiche, ha votato il 77%. Più o meno come cinque anni fa. Lì le istituzioni, partiti compresi, funzionano; così come funzionano in molti altri paesi d’Europa occidentale con un tasso abbastanza simile di partecipazione elettorale. E lì, per inciso, esistono i partiti socialdemocratici, dati da tutti per morti.
In Italia, alle politiche di tre anni fa, ci fu una partecipazione del 70/75%%; il 55/60% di quel voto dato a tre formazioni populiste e variamente antisistema, i 5S, la Lega di Salvini e Fd’I. Oggi, siamo scesi, su di un campione più ristretto, al 55% di cui questi tre partiti rappresentano tra il 30 e il 40%.
Questo per corroborare con qualche dato, quello che dovrebbe essere politicamente evidente a un primo esame. E cioè che il calo della partecipazione è dovuto, essenzialmente, alla trasformazione del voto di protesta in non voto. Liberi voi di valutare se questo sia un fatto positivo oppure no.
Ciò detto l’elettorato si è spaccato a metà e sulla base di criteri, diciamo così, utilitaristici. Chi si attendeva qualcosa dal “sistema” (aggiungendo, nel caso fosse ancora necessario dirlo, che in questa attesa non c’era nulla di ideologico) ha votato; chi non s’attendeva nulla, si è astenuto. Salvo a ricredersi (non si tratta di un abbandono definitivo a differenza di quello che accade negli Stati uniti) in presenza di una offerta nuova e più appetibile.
Il passaggio all’astensione, così come l’orientamento di quelli che hanno votato, riflette peraltro un mutamento radicale della psicologia collettiva.
In primo luogo, si sono smorzate le indignazioni, le paure e, con esse, le pulsioni eversive, con la relativa carica di odio. A tutto danno di un centro-destra che aveva continuato ad alimentarle giocando quasi tutte le sue carte sul fallimento delle politiche sanitarie ed economiche dei governi; per essere regolarmente smentito dai fatti. Dimenticandosi, per inciso, che quello che era in grado di ferire Giuseppi sarebbe regolarmente rimbalzato sulla corazza di Draghi.
A prevalere, calata la grande febbre, la richiesta di tutela e di protezione; e, ad accoglierla, papà Pd, da sempre attrezzato alla bisogna.
A favorire la sua indiscutibile vittoria, altri due elementi: il crollo del “fattore identità”; e, accanto ad esso, la presenza ormai costante di sistemi elettorali che esaltano il ruolo dell’individuo rispetto alla collettività e, nel contempo spingono, addirittura sin dal primo turno (come in questo caso), a premiare il “voto utile” rispetto a quello di opinione e, in particolare, a quello di appartenenza.
A passare all’incasso, appunto, il Pd di Letta. Che, da una parte, fa il vuoto accanto a sé cannibalizzando completamente le forze alla sua sinistra, ridotte ad una subalternità senza principi o rinchiuse in un identitarismo delirante; e, dall’altra, incassa il voto utile; in nome, peraltro, del “meno peggio” e senza sforzarsi più di tanto per diventare migliore.
I successi senza fatica hanno, peraltro, una controindicazione grave: la tendenza all’autocompiacimento; la rinuncia a pensare; l’istintiva autocensura nei confronti di qualsiasi iniziativa sgradita ad un “sistema” di cui si adottano, magari inconsciamente, tutti i tabù.
Carenze ritenute irrilevanti in un contesto di apparente unanimismo sulle questioni fondamentali (e, in questo senso, perfettamente rappresentato dalla figura di Draghi); ma che diverranno fatale elemento di debolezza quando si tratterà di decidere chi deve pagare i costi della crisi e della fuoruscita dalla medesima. E, nel contempo, stabilire se le esigenze della collettività su questioni vitali come l’ambiente o il lavoro debbano, o no, fare premio su quelle di “lorsignori”, leggi del potere costituito.
A quel punto i casi saranno due: o saremo in presenza di un grande movimento di popolo e di cittadini che risveglierà il Pd dal suo sonno beato e assisteremo alla nascita di un grande partito socialdemocratico; o la disfatta della sinistra e, con essa, della democrazia ci sarà. E sarà definitiva.
E’ notizia di questi giorni che due iniziative importanti che vanno nella direzione di unificare la Sinistra sono in atto al Sud e al Nord del Paese, proprio mentre a Roma si stanno costruendo le Case per la Sinistra Unita.
A Cosenza infatti, qualche settimana fa è nata l’Associazione Essere Sinistra per la Calabria che si pone il problema della ricostruzione di una sinistra unita e nuova. L’associazione ha un carattere regionale e, ad oggi, può contare su tre nuclei organizzativi dislocati nelle province di Cosenza, Crotone e Vibo Valentia. L’attività che anima l’Associazione si dispiega in tre direzioni: una riflessione teorica e culturale sulla sinistra e sulla crisi della politica, una azione politica su scala regionale in cooperazione con il gruppo regionale della Federazione della Sinistra, un lavoro di costruzione dell’insediamento territoriale attraverso la nascita di circoli locali.
A Milano, invece, il 23 Giugno si terrà alle ore 18.00 presso il Centro Culturale Concetto Marchesi di via Spallanzani 6 (MM1 Venezia) un incontro per individuare un percorso che unisca la Sinistra a partire dalle ipotesi di lavoro espresse dalla sinistra sindacale. “Crediamo che un processo politico virtuoso di unità della Sinistra, duraturo ed efficace debba avere come bussola la centralità del lavoro, sia nella priorità dei programmi che nello sforzo di radicamento sociale” dichiarano gli organizzatori. Non a caso il titolo del convegno è “A PARTIRE DAL LAVORO. Un’ occasione interessante per confrontare le proposte politiche con i problemi concreti del mondo del lavoro. Per la politica saranno presenti Nicola Fratoianni ( Sel), Claudio Grassi (Prc) e Danilo Toninelli (M5S). Per il sindacato Matteo Gaddi ( Sinistra Sindacale CGIL, Movimento Rsu contro Fornero) e Mirco Rota (Segr.Fiom Lombardia).
Siamo di fronte ad una crisi drammatica del sistema politico nel suo complesso, crollato nei suoi livelli di rappresentatività del paese reale,prodotta da un intreccio negativo e perverso tra Politica e gestione della Publica Amministrazione , che trascina con se ‘ la credibilita’ delle stesse istituzioni statuali, e soffoca la capacita’ di agire dell’intera struttura amministrativa del sistema paese.
Siamo in presenza di un inestricabile cortocircuito generale della macchina amministrativa , indotta dalla involuzione assoluta del rapporto tra rappresentanze politiche e domanda dei cittadini , in cui trovano garanzia solo interessi di gruppo, spesso parassitari , cordate di potere , tutela di corporazioni , illegittimita’ diffuse , perdite di risorse , parzialita’ nelle valutazioni, ed inadeguatezza dei servizi .
Tutto il nostro sistema di governo e’ paralizzato in una spirale di interazioni negative reciproche tra costo ed inefficienza della struttura amministrativa dello Stato, che amplificano a dismisura il fabbisogno finanziario pubblico andando a costituire la ragione prima della impossibilità di sostenere politiche di spesa a sostegno del sistema produttivo, ed a tutela delle garanzie sociali che assicurano la tenuta del tessuto democratico del Paese.
Siamo quindi di fronte ad una crisi dello Stato prodotta da una crisi del sistema politico non più in grado, di fronte alle urgenze poste dalla congiuntura economica e dai vincoli indotti da un sistema di relazioni finanziarie condizionante la stessa sovranità nazionale ,e cogente rispetto ai margini di operatività del suo sistema di governo, di risolvere le sue contradizioni interne a complessivo beneficio della tutela del sistema paese.
Tutte le pesanti avvisaglie giudiziarie che stiamo osservando ci vanno convincendo che sta per iniziare una nuova offensiva della magistratura contro il sistema politico .
Al di la’ dei possibili aspetti di uno strisciante “Giustizialismo ” ,che ancora fatica ad essere rimosso dalla nostra cultura politica, la assoluta gravita’ del problema resta tutt’intera davanti a noi .
In Italia non esiste ormai un appalto pubblico , attraverso gara o affidamento diretto , o un concorso pubblico per assunzioni di personale , o la nomina di un qualsiasi dirigente pubblico che non siano oggetto di ” attenzione particolare” , e di un conseguente idoneo orientamento del risultato, da parte degli onnipresenti referenti politici che amministrano direttamente , o sono nelle condizioni di poter influenzare, quella specifica stazione appaltante pubblica , o quella amministrazione che bandisce il concorso , o in cui va ad incardinarsi il dirigente neo-nominato .
Questo spreco di risorse che poggia su una sistematica, e spesso criminosa , violazione del principio di legittimita’ , e di quello di economicita’ ,che devono informare tutta l’azione amministrativa , e rende vano ed odioso ogni possibile ulteriore incremento della pressione fiscale sui redditi accertati, allontanando i cittadini dalla affezione verso quelle regole di responsabilita’ civica che normalmente tengono unita’ la comunita’ civile di un paese democratico sviluppato , rappresentando la base della sua coesione sociale .
La “Questione Morale” non e’ quindi piu’ solo un problema di correttezza individuale del personale politico , ma e’ divenuta una questione strutturale insita nel funzionamento ordinario dello Stato-Amministrazione e delle Autonomie Locali, la cui soluzione , sicuramente non semplice , potrebbe consentire il recupero di disponibilita’ di spesa pubblica enormi , con cui riattivare direttamente, ed anche in presenza di vincoli esterni al deficit spending , politiche di intervento pubblico nell’economia .
Il programma di governo di una Sinistra , nuovamente autonoma ed alternativa nella sua capacita’ di riprogettare il nostro sistema -paese , deve quindi essere concentrato su una NUOVA POLITICA ECONOMICA, caratterizzata da una nuova politica industriale, e dalla centralita’ delle politiche sul lavoro e sul Welfare , realizzabile solo in parallelo alla RISOLUZIONE DELLA CRISI DELLO STATO , facendo divenire la interdipendenza dei due obiettivi una consapevolezza generale .
In questo senso i Socialisti e tutta la Sinistra deveno collegare la riforma dello stato e del suo sistema politico ad un progetto di un nuovo modello di sviluppo , ponendo al centro di un suo programma di governo la Ristrutturazione della Pubblica Amministrazione, con l’obiettivo obiettivo concreto di recuperare € 150 miliardi a regime dal fabbisogno della spesa pubblica corrente.
Sara’ possibile raggiungere questo risultato soltanto attraverso un processo di drastica riforma del rapporto tra il sistema politico e la gestione della Pubblica Amministrazione ,che conduca innanzi tutto ad un recupero della stessa possibilità, oggi del tutto impossibile , di un governo programmato dei suoi fabbisogni di spesa in rapporto al livello di erogazione dei servizi .
Deve esistere, pertanto, per la Sinistra italiana, un rapporto inscindibile tra la necessità di risoluzione della crisi dello Stato e del suo sistema politico, attraverso un nuovo rapporto tra le rappresentanze politiche e la pubblica amministrazione complessivamente intesa, e la definizione concreta di un possibile nuovo modello economico e dei rapporti sociali, fondato sulla ricostruzione di una politica industriale, attraverso una capacità di programmazione complessiva dello sviluppo da parte del sistema degli istituti di sovranità popolare e di Governo, e costruito su un modello distributivo generale delle risorse e della ricchezza, in cui, ad una complessiva restrizione tendenziale della ricchezza nazionale prodotta corrisponda, inversamente, un maggior livello della sua redistribuzione collettiva.
Cari Gennaro, Titti, Claudio, e cari compagni che avete lasciato Sel o che meditate di farlo,
non vi dico delle telefonate, della delusione, dello sgomento. Lo sapete certamente. In queste ore difficili non smette di girarmi per la testa la nota frase di Talleyrand: “E’ più che un crimine, è un errore”. Crimine no, siamo in tempi di scelte politiche libere, non esistono fedeltà e tradimenti, e il senso di comunità e appartenenza ognuno liberamente lo gradua. Ma un errore sì, un errore grave, anche dal punto di vista degli argomenti vostri.
Non posso davvero credere che la ragione scatenante di una così pesante decisione sia questa o quella frase pronunciata da Vendola o da chicchessia. Farei torto alla vostra intelligenza e alla vostra esperienza. La questione che è sul tavolo, come voi stessi affermate, ha nome e cognome: si chiama Pd e governo.
Non trovo legittimo rappresentare Sel come un covo di estremisti; trovo legittimo proporre che Sel sostenga il governo Renzi, e magari confluisca nel Pd.
Non lo condivido, ma capisco si possa pensare che ciò cambierebbe qualcosa negli assetti politici italiani. Credo che cambierebbe poco o niente, se restasse l’asse tra Pd e Ncd di Alfano, e penso anche che il “renzismo” non sia destinato a contenere l’Alfa e l’Omega di tutte le italiane sinistre transatlantiche. Mi sarebbe piaciuto discuterne apertamente, magari sul testo di una qualche mozione presentata al nostro recente Congresso. L’avrei contrastata, comunque l’avrei ritenuta e la ritengo una posizione legittima.
Ma voi, cari compagni, avete fatto tutt’altro: trasformando una normale valutazione del gruppo su un provvedimento (il decreto degli 80 euro) in un’Autodafè, avete innescato un esodo di parlamentari verso la maggioranza. E alla Camera, dove i numeri – anche grazie al premio di maggioranza che esattamente i voti di Sel fecero scattare — sono per il governo abbondantissimi
A parte la tristezza per il Ritorno del Sempre Uguale, nella politica e nella sinistra italiana, il fatto è politicamente ininfluente. Che senso ha? Il risultato più probabile è che contino zero quelli che vanno. E quelli che restano.
Di più: ho l’impressione che il Pd sia da questa mossa più imbarazzato che entusiasta, e non solo nella sua ala sinistra.
Un errore politico. Una mossa priva di senso politico.
La legislatura durerà probabilmente fino al 2018. C’è tempo. Non siamo, certo, in questi anni, riusciti a costruire la sinistra che volevamo. Ma Sel ha più di un milione di voti, più di 40 parlamentari, tanti valenti amministratori locali (e nessuno ha dimenticato il contributo nostro alla scelta e alla elezione di Pisapia, Doria, Zedda) che hanno aggiunto valore alla battaglia del centrosinistra. Abbiamo aperto una interlocuzione con mondi importanti partecipando alla impresa della lista “L’Altra Europa per Tsipras” (che ha fatto il quorum). Uniti possiamo esercitare una funzione, stando all’opposizione, con testa e cultura di governo (ma ça va sans dire, verrebbe da sottolineare ad uno che viene dalla storia mia e di molti di voi). Votando a favore di quel che ci piace e contro quello che non ci piace. Potendo infine trarre un bilancio più serio e meditato dell’azione del governo e del Pd nuova gestione. Tanto più che, quando si formano partiti “della Nazione”, per il bene della Nazione medesima, qualora non ce ne fossero, bisognerebbe subito fondarne altri: l’opposizione è una funzione essenziale del governo democratico delle Nazioni.
Per quanto mi riguarda i risultati della legislatura si misureranno su tre assi: occupazione e diritti del lavoro; livello di diseguaglianza; condizioni etiche e democratiche della Repubblica. Passai all’opposizione dei Ds quando Blair ne diventò la stella polare (e non vi dico il mio sbalordimento nel vedermelo rivenduto vent’anni dopo come l’ultima novità, persino dopo i bei risultati in Iraq).
Non aderii, con molti altri, al Pd, partendo dall’idea che è necessario esercitare una più alta critica della globalizzazione e del capitalismo finanziarizzato (ed eravamo alla vigilia della grande crisi che ha investito il mondo come una tempesta, e riportato l’Italia trent’anni indietro).
E’ vero che “solo i cretini non cambiano mai idea”, ma è vero anche che bisogna resistere almeno un po’ alla tentazione di cambiarla troppo spesso. Ma ora bisogna darsi il tempo, agendo, di poter meglio valutare. Usando e non disperdendo la forza, per quanto piccola, di cui disponiamo.
Posso sperare di convincervi a prendere almeno una piccola pausa di riflessione?
Vostro
Fabio Mussi
Lettera apparsa sul sito di Sinistra Ecologia e Libertà e sul sito de “Il manifesto”.
Pur tra tanti limiti e contraddizioni s’intravvede, dopo il voto alla europee, l’avvio a sinistra di un processo nuovo, in forte discontinuità con le esperienze fallimentari dell’ultimo decennio. Aver superato lo scoglio del quorum del 4%, dopo anni di rovinose sconfitte elettorali, apre nuovi scenari e orizzonti.
L’Assemblea Nazionale di Sel va in questa direzione. Per questo sono da considerare positive le conclusioni dei suoi lavori, pur restando nell’ambito del partito divisioni e opzioni diverse. Divisioni e opzioni diverse che si sono immediatamente manifestate nel gruppo alla Camera dei Deputati di Sel sulla discussione di quale orientamento avere sul provvedimento del Governo sugli 80 euro. Discussione forte che ha portato tra l’altro alle dimissioni di Migliore da Capogruppo.
L’accento della discussione è ora spostato sulla natura e sui caratteri di una forza di sinistra, con un Pd – renziano – a oltre il 40%, con la brusca frenata del Movimento 5 Stelle, che comunque resta il secondo partito in Italia, ma dove emergono diverse e significative contestazioni alla linea di Grillo, e un centrodestra in crisi che non riesce, per ora, a uscire dalla tenaglia del berlusconismo. Non poteva che essere così. Anche la vicenda dell’opzione di Barbara Spinelli va inquadrata come momento di questa discussione.
La Lista Tsipras ha prodotto un risultato politico importante. Per la prima volta, dopo tanti anni, la sinistra si è presentata ad una elezione con una sola lista. È questo un dato da non sottovalutare. La necessità di superare il quorum ha unito, ha fatto prevalere un po’ in tutti una spinta forte all’unità. Ma la spinta all’unità, che è comunque un valore da coltivare, non è un progetto politico. Per questo la Lista Tsipras nata come “cartello elettorale” non è in grado di trasformarsi, come le vicende post-elettorali confermano – in un centro propulsivo per la costruzione di una influente sinistra . Nel suo ambito infatti si fronteggiano diverse e radicate opzioni culturali, prima ancora che politiche e strategiche. Diversità che impediscono la trasformazione della Lista in un embrione di un nuovo soggetto politico. Di questo, senza faziosità ed eccessive polemiche, occorre prendere atto.
Il rilancio su basi del tutto nuovo di una moderna sinistra del XXI secolo non passa e non passerà su operazioni elettorali, sia pur importanti, da non sottovalutare, ma dalla condivisione di un progetto politico alla cui base vi deve essere la ricerca di una identità culturale comune. Con ciò non si vuole sostenere la marginalità del valore delle intese elettorali, quando sono possibili e necessarie, ma solo evidenziare il concetto – non sempre chiaro a sinistra – che tale ricerca non va confusa con quella ben più importante di indicare un progetto, un percorso di ricostruzione della sinistra appunto su basi nuove, lasciandoci alle spalle le macerie dell’ultimo ventennio. I firmatari dell’Appello per la costruzione a Roma delle “Case per la sinistra unita” hanno sostenuto con grande determinazione la Lista Tsipras senza però indicare preferenze di candidature e soprattutto non hanno aderito al Comitato elettorale di Coordinamento. Sappiamo che con questa scelta abbiamo suscitato qualche antipatia e che c’è chi ci ha guardato con sospetto, ma a noi interessava e ci interessa il progetto politico e non un passaggio elettorale sia pur decisivo. Per questo siamo nati e per questo lavoriamo. Il passaggio elettorale o s’intreccia in termini fecondi con il progetto o rischia di divenire esclusivamente un momento elettoralistico senza nessun respiro strategico; un passaggio che inizia e si conclude con una elezione e magari con una rappresentanza istituzionale del tutto autoreferenziale.
A rieleggere il nostro Appello a distanza di alcuni mesi pare che sia stato scritto ieri, all’indomani del voto e della discussione che si è aperta.
Al centro della discussione infatti non vi è oggi – pare un paradosso – il valore dell’unità, ma il carattere e la natura della sinistra, che resta ancora strettamente schiacciata tra radicalismo e subalternità. Il risultato delle urne in questo senso non aiuta. Dal voto la spinta al settarismo e a visioni identitarie e residuali traggono nuove motivazioni, come altrettanto trae nuovi argomenti la tendenze di racchiudere l’azione politica nel campo ampio del Pd, magari insieme ad altre forze, come il Psi e alcune aeree moderate di centro, che avevano prima in Monti il punto di riferimento. Negli ultimi vent’anni si è predicato molto sul tema dell’autonomia. Ma questa autonomia raramente è stata coltivata e praticata come necessità di affermare una propria cultura tramite la quale lavorare per un insediamento sociale. Purtroppo l’autonomia è stata esclusivamente coniugata e messa in relazione, positivamente o negativamente, al tema delle alleanze, degli accordi elettorali e di governo. Per questo crediamo che radicalismo e subalternità siano le due facce di una brutta medaglia.
Anche Sel, nata per contrastare il minoritarismo del Prc al Congresso di Chianciano, e la deriva moderata Ds-Pd, pur rivendicando fin dalla sua nascita una sua autonoma cultura, non è riuscita ad andare oltre al quadro del centrosinistra, trovandosi improvvisamente senza un solido orientamento nel momento in cui l’azione travolgente di Renzi ha spazzato via lo scenario politico su cui Sel aveva investito per marcare la sua presenza nel Paese.
Da qui oggi occorre ripartire. Dall’autonomia culturale della sinistra. Un’autonomia che può produrre novità e dischiudere nuovi orizzonti solo se riesce a coniugare il binomio cultura di governo e azione di trasformazione. Insomma se saprà essere una forza capace di governare la trasformazione, cioè di introdurre elementi sociali tratti dai valori e dai principi del socialismo. E questa capacità di essere forza di governo e di trasformazione prescinde – come del resto insegna la storia del Pci – dalla collocazione parlamentare: si può essere forza di opposizione mantenendo però forte una cultura di governo per non alzare solo i “cartelli dei no”.
È un binomio che va oltre a quello tradizionale di autonomia e unità.
L’autonomia infatti non s’intreccia solo con la politica, ma diviene il tratto culturale di una sinistra portatrice di valori sociali condivisi di ampi settori popolari e dunque per questo in grado di insediarsi nel sociale; come la capacità di produrre un’azione di governo per la trasformazione ingloba in sé anche il valore dell’unità, cioè la capacità non solo di realizzare intese elettorali o programmatiche, ma anche di avere l’intelligenza di attuare in concreto tali accordi con modalità, tempi e passaggi che possono minare l’unità se non si ha una solida cultura di governo.
Ecco perché affermiamo che occorre ripartire dai territori per la costruzione di una sinistra popolare in Italia. Non siamo né basisti né movimentisti e non siamo così stolti da credere che un ambizioso progetto politico di ricostruzione della sinistra possa essere la pura e semplice sommatoria di esperienze locali, sia pur significative. Sappiamo che occorre una visione nazionale – anzi europea – per dare una valenza credibile e strategica al progetto. Ma neppure crediamo che la realizzazione di un progetto così impegnativo possa essere affidato alle capacità e alla volontà dei gruppi dirigenti. Non seguiamo la moda dell’antipolitica, oggi molto in voga, che conduce alla negazione della funzione democratica dei partiti. Siamo semplicemente convinti che un’operazione promossa dall’alto dai gruppi dirigenti della sinistra – se ci fosse caso mai questa determinazione – sarebbe una sommatoria, tra l’altro per difetto, delle singole debolezze. Un meno sommato a un mendo non dà un più, ma un valore negativo più grosso: una debolezza più grande. Siamo attenti alla discussione in corso dentro Sel o quella in atto in aree significative, come quella di “Essere comunisti” del Prc o della sinistra del Psi. Come non sottovalutiamo il malessere della sinistra del Pd e le crescenti insofferenze nel Movimento 5 Stelle. Non ci sfugge neppure l’importanza del processo apertosi nella Cgil, con la possibilità di raccogliere attorno alla Fiom una grande aerea della sinistra sindacale. Tutto ciò è importante, è segno di una vitalità che ancora c’è a sinistra, che quel 4% (che in prospettiva può essere molto di più) ha contribuito ad alimentare.
Ma la nostra convinzione è che senza la risoluzione della questione dell’insediamento sociale della sinistra questa vivacità, come in altre occasioni, è destinata a deludere.
Da qui la proposta delle “Case per la sinistra unita” – e insistiamo Case per la sinistra e non della sinistra per dare il senso di un processo aperto che deve essere sopportato da un lavoro di lunga lena – come uno degli strumenti per la formazione di una cultura di governo e della trasformazione, come centri propulsivi di lotte e di iniziativa sociale, come spazi politici moltiplicatori di forze ed energie.
Siamo pertanto per la costruzione di “Case” per contribuire ad avviare e dare impulso a un processo. Non siamo per parole d’ordine ridondanti, come “costituente” o “scioglimento dei partiti”. La prospettiva di un nuovo soggetto politico non si costruisce con fughe in avanti, con astrazioni o definendo oggi a tavolino cosa questo soggetto dovrà essere. Siamo invece molto interessati all’apertura di un processo nuovo, di forte discontinuità anche con il recente passato. Per questo crediamo che le “Case” debbano misurarsi immediatamente con i problemi sociali reali e drammatici presenti nei territori per tentare di dare risposte e soluzioni con la lotta e l’azione, non disgiunte però dalla necessità di indicare la soluzione dei problemi. Non ci interessa fare delle “Case” la bella o brutta copia delle sezioni di partito, cioè luoghi di un generico dibattito o di propaganda politica o di iniziative elettorali.
Il nostro obiettivo è molto più ambizioso: le “Case” come centri di attività sociale, di lotta, ma anche di analisi e di costruzione della proposta politica. E chiediamo a tutti i militanti dei partiti della sinistra, ma anche a quelli impegnati nell’associazioni e ai quadri sindacali di partecipare attivamente a questo laboratorio, sulla base del criterio “una testa un voto”. E chiediamo alle Segreterie dei partiti di aprire le loro sedi alle “Case per la sinistra”, di dare il loro fattivo contributo alla loro realizzazione, proprio perché, come abbiamo scritto nell’Appello, vogliamo lavorare non contro ma con i partiti.
Attiviamolo tutti insieme questo processo e sulla base del suo sviluppo valuteranno passaggi e modalità successive. Ma oggi è decisivo partire. E noi siamo partiti.
A fine giugno sarà inaugurata la “Casa” di San Lorenzo. Passo dopo passo stiamo portando avanti il programma che si siamo proposti nell’assemblea dei firmatari dello scorso maggio.
Sono oltre dieci, ad oggi, le sedi che possiamo aprire, ma non ci interessa aprirle tanto per dire che ci siamo, insomma per mettere sulla mappa di Roma una bandierina per rivendicare la nostra visibilità. Vogliamo politicamente prepararle al meglio le assemblee costitutive delle “Case” coinvolgendo forze vere e vive della sinistra, politica, sociale e sindacale, romana. Vogliamo che le “Case” siano una novità irreversibile nello scenario politico romano. Stiamo dunque lavorando per aggregare e raccogliere nuove e significative adesioni, per consolidare rapporti e relazioni, soprattutto con l’articolato mondo dell’associazionismo. E abbiamo gettato lo sguardo anche fuori dai confini romani. Il nostro Appello infatti ha suscitato interesse. Iniziative simili alla nostra e strutture territoriali unitarie sono sorte un po’ in tutta Italia. Ad Asti e a Torino, a Milano, nelle Marche, a Bari e a Napoli, in Calabria e in Sardegna operano strutture unitarie che hanno svolto la campagna elettorale sulla Lista Tsipras ma a latere del Comitato elettorale, condividendo con noi la medesima scelta: di impegnarsi a lavorare sul progetto di un nuovo soggetto politico unitario della sinistra italiana, un progetto tutto da costruire, ma che è possibile avviare perché oggi vi è la consapevolezza di voler ripartire dai territori e dalla necessità dell’insediamento sociale.
Crediamo che sia maturo il momento di un primo incontro nazionale di queste realtà per valutare come insieme dare vigore e impulso alla costruzione di momenti organizzativi nei territori e per rendere irreversibile il processo unitario. Un lavoro che crediamo si debba intrecciare anche con quello di quei tanti Comitati territoriali della Lista Tsipras che non intendono sciogliersi e che sulla base dell’esperienza fatta intendono procedere sulla strada della costruzione di una moderna sinistra, nuova, in netta discontinuità con le pratiche del radicalismo e della subalternità.
Nelle prossime settimane lavoreremo anche per rendere possibile questo incontro nazionale, per mettere le prime basi al progetto politico.
Con la vittoria sonante di Renzi cambiano radicalmente non solo i rapporti di forza tra i partiti ma anche i modi di intendere e di praticare la politica, in particolare nella distinzione dei ruoli tra destra e sinistra. È sconvolto il sistema politico che ha attraversato il ventennio berlusconiano, e il cambiamento in atto deve essere attentamente valutato. Non si tratta solo della crisi evidente dell’assetto bipolare, bensì di un processo più ampio e profondo, sebbene non consolidato, che attiene alle forme e ai contenuti della democrazia, alla funzione dei partiti e dei corpi intermedi, e quindi alla concreta possibilità di esercitare i diritti individuali e sociali costituzionalmente garantiti. A cominciare dal diritto al lavoro, che in Italia e in Europa ha segnato un passaggio storico.
Roma, 23 maggio 2014 – Troppe volte si è detto che siamo ad un punto di svolta della sinistra e troppe volte abbiamo continuato a fare politica come prima. Ora però c’è di più: o si cambia passo o si scompare.
Relazione di Giulia Rodano all’Assemblea del 13 maggio 2014 per la costruzione delle Case per la Sinistra unita
Anche a quanti, come me, non sono costituzionalisti non sarà difficile vedere come il tema della costituzione, della sua modifica o della sua difesa e applicazione sia tornato prepotentemente all’ordine del giorno.
Quando dico che voterò L’Altra Europa con Tsipras molti obbiettano che si tratta di un voto inutile, buttato via.
Vorrei far presente a chi la pensa così, che in questa fase di svuotamento di senso della democrazia, tutti i voti sono inutili perché saranno sempre utilizzati contro i nostri interessi, non solo economici ma soprattutto contro i nostri interessi di esseri umani.
(Intervento all’Assemblea per le Case della Sinistra unita – 13 maggio 2014)
“Dal 2008 in poi sia la capitale che l’intero territorio regionale stanno pagando un prezzo durissimo in termini economici per la crisi strutturale che attraversiamo.
Siamo passati da 15 mln ore di cassa integrazione 2008 a 100 mln ore 2013 ( 50 mila c.a. addetti coinvolti).