Senato

Lo spartiacque della democrazia, di C. Baldini

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Il fronte del SI vuole una democrazia “èlitaria ed oligarchica”, monopartitica; il fronte del NO vuole invece una democrazia “popolare e partecipata”, pluralista.
Se Renzi fosse stato un politico e non un despota, avrebbe consentito lo spacchettamento del quesito referendario; all’indomani del 4 dicembre avrebbe potuto procedere a riproporre le modifiche costituzionali degli articoli che il popolo referendario boccerebbe con il NO .
Era il modo per non porre la megarevisione costituzionale come “ plebiscito sulla sua persona” e porla invece come “massima disponibilità di eseguire e concretizzare la volontà popolare”.
Dal punto di vista politico il 5 dicembre comunque la spaccatura del Paese è compiuta. SI o NO, l’estremizzazione plebiscitaria ha portato e porterà ulteriormente a dividere il Paese.
Le responsabilità sono tutte del Pd che ha prodotto il ddl Boschi con una maggioranza “zoppa” figlia dell’incostituzionale Porcellum.
Un’assurda personalizzazione che ha buttato alle ortiche lo spirito e l’amalgama del 48.
Il danno è fatto! Il ddl Boschi bisognerà votarlo o rigettarlo in blocco…..e la previsione della elezione della sola Camera dei Deputati con un premio di maggioranza ipermaggioritario ad un solo Partito, farebbe acquisire, concentrare, ruolo e funzione legislativa-politica- governativa in capo ad un Partito, al suo Leader ed al suo Governo, divenendo una combinazione pericolosa vicina quasi al “potere assoluto”, determinando conseguentemente tutte le cariche fiduciarie di gestione del potere pubblico fino ai posti di comando più reconditi. Oltretutto verrebbe premiata la migliore delle minoranze, mentre le restanti parti politiche che sono la maggioranza del Paese verrebbero completamente escluse o scarsamente rappresentate. Qualcuno ha dei dubbi che oggi il potere lo si esercita per il potere?
A qualcuno sorge il dubbio che per mantenere la democrazia il potere vada limitato, e non concentrato perché chi lo esercita tende sempre ad usarlo oltre il limite?
E allora bisogna porsi la domanda : la nostra democrazia è matura per sopportare gli squilibri di potere? NO. E se non lo è oggi, figuriamoci cosa potrebbe succedere con il ddl Boschi, con qualunque partito o uomini ascendenti al potere.
Il NO non è come principio contro Renzi, ma è un NO di “salvaguardia della democrazia popolare”. Chiunque si trovi ad essere Capo dell’Esecutivo dovrà provare a fare leggi più vicine alla volontà popolare, condivise dalla gran parte degli italiani. Il titolo del quesito referendario dice una cosa, negli articoli del ddl Boschi c’è il contrario; una democrazia si basa sul voto e se il voto viene tolto al popolo per eleggere direttamente i rappresentati del Senato, non è questo che vuole la Costituzione Italiana.
Votare NO, è come dire ad alcuni politici improvvisati ed ignoranti che non son buoni né per sé e né per gli altri, dire basta alla campagna di disinformazione e di falsità : nel tagliare i 200 Senatori all’art.40 nelle disposizioni finali “costituzionalizza i vitalizi “ per tutti i Senatori……..

“ La strada maestra è una nuova Costituente eletta con il proporzionale per nuove Istituzioni”

Facciamoglielo capire a questi politicanti in carriera.

Claudia Baldini

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Domenica voto NO contro l’autocrazia, di M. Luciani

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Massimo Luciani

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Spero che domenica 4 fallisca il miserabile tentativo di contrabbandare per anticasta e per contenimento di costi l’impresentabile pateracchio che modifica chiavi in mano 47 articoli della Carta Costituzionale.
Nel vecchio testo vi erano principi comprensibili a chiunque, nel nuovo testo si inseriscono regolamenti oscuri ai più.
La parte peggiore è quella che riguarda il presunto superamento del bicameralismo perfetto, ma anche per i fautori del monocameralismo non può che essere riconosciuta come peggiorativa la modifica che si vuole introdurre.
Si dice che si supera il bicameralismo perfetto affidando al nuovo Senato compiti quasi esclusivi di rappresentanza delle istituzioni territoriali, quasi una elevazione di rango della Conferenza Stato-Regioni, punto. Non è così: il nuovo Senato “Partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione
degli atti normativi e delle politiche dell’Unione europea”. Ma se gran parte dell’attività legislativa consiste proprio nel recepimento di indicazioni della UE e veramente si pensa di affidarle a Sindaci, Presidenti di Regioni ed esponenti di giunte che dovranno andare a Roma solo 3-4 volte al mese è evidente che al massimo potranno soltanto certificare con il visto provvedimenti che saranno così sottratti alla sovranità popolare. Non potranno programmare alcuna attività dal momento che i mandati dei senatori scadranno ciascuno in corrispondenza delle elezioni amministrative e comunali del territorio di appartenenza.

Si dice che si vogliono ridurre i costi della politica, ma per ridurre le retribuzioni e i vitalizi non occorre modificare la costituzione: sarebbe molto più facile, basterebbe volerlo.
In realtà si vuole rafforzare i poteri dell’esecutivo perché gli “investitori” chiedono governabilità. Lo dimostra la corsia preferenziale che si vuole istituire con il “voto a data certa” sui disegni di legge “essenziali per l’attuazione del programma di governo”. Si vuole limitare la sovranità popolare sottraendo poteri al suffragio universale e affidando sempre di più le decisioni alla tecnocrazia e all’autocrazia degli specialisti. Se si accresce la governabilità riducendo la rappresentatività il risultato è più autocrazia e meno democrazia

In realtà si accentrano poteri e dove si accentrano i poteri il sistema che si vorrebbe rendere più stabile diventa invece più vulnerabile. Il rischio della svolta autoritaria nei sistemi accentrati è una categoria del novecento, divenuta ormai obsoleta? Quel rischio non è più reale? Mah! Mi permetto di dissentire.

Però qualcosa la possiamo dire senza tema di smentita: di leggi non se ne fanno poche, ma troppe, più che in qualsiasi altro stato dell’Unione Europea. Di solito non si seguono procedure troppo lunghe, a meno che non si tratti per esempio di conflitto di interessi, ma troppo veloci: la Monti-Fornero Pensioni, il Jobs Act sono validi esempi. Ma soprattutto diciamo che le leggi sono tanto peggiori quanto maggiore è la governabilità. L’Assicurazione Generale Obbligatoria, Lo Statuto dei Lavoratori, la Scala Mobile dei salari, ma anche il diritto di famiglia, la Basaglia, il Servizio Sanitario Nazionale li abbiamo conquistati quando i governi erano instabili, le legislature duravano poco più di un anno, l’opposizione era forte, il salario era una variabile indipendente, gli operai volevano il figlio dottore. Tanto disordine, ma tante conquiste.

Massimo Luciani

Un NO in difesa dello spirito repubblicano. Scritto soprattutto per i più giovani, di S. Valentini

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sandro-valentini 2

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Che la seconda parte della Costituzione dovesse essere modificata, mentre la prima parte – quella dei principi fondamentali – dovrebbe finalmente essere completamente attuata, è fuori discussione.
Dovrebbe essere modificata per riordinare i rapporti tra Stato e Regioni (comprese le cinque Regioni a Statuto speciale, che sono divenute sempre più un pozzo senza fondo di spreco enorme di risorse pubbliche) e per razionalizzare e rendere più veloce ed efficace il momento legislativo con la costruzione dell’Unione europea e la elezione a suffragio popolare del suo Parlamento. Occorre avere solo tre livelli legislativi: europeo, nazionale e regionale. Per questa ragione il Senato dovrebbe essere trasformato in Camera delle autonomie come nel modello istituzionale tedesco, mettendo così fine al bicameralismo paritario, con una riduzione drastica del numero dei parlamentari, non più di 500 Deputati e 200 Senatori.

Ma le proposte di modifica costituzionale approvate a maggioranza dal Parlamento (la stessa che sostiene a colpi di voto di fiducia l’esecutivo) su iniziativa e impulso del governo non prevede tutto ciò. È a voler essere buoni sono un pasticcio che determina confusione e una pericolosa instabilità delle istituzioni, rischiando di favorire l’onda montante in corso nel Paese di ogni genere di populismo; a voler essere cattivi riducono gli spazi di democrazia in quanto modifiche costituzionali e combinato disposto dell’Italicum (la legge elettorale definita da Renzi la migliore del mondo), consegnerebbero a una minoranza anche del solo 30 per cento dei votanti – si badi – una maggioranza parlamentare del 51 per cento.

La questione non scandalizza più di tanto Sabino Cassese, autorevole costituzionalista del Sì, che candidamente ha detto che la democrazia è il governo della minoranza più forte perché questo è ciò che emerge dai cosiddetti sistemi liberaldemocratici con un’economia di mercato. Alla malora dunque la conquista del “principio una testa un voto”, realizzata con lacrime e sangue a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento dal movimento democratico, socialista e comunista, tramite il suffragio universale (comprese le donne) per attuare pienamente un regime democratico effettivamente rappresentativo.
Una proiezione dei 100 senatori che dovrebbero comporre il nuovo Senato (95 dei quali saranno eletti dai Consigli regionali, di cui 21 Sindaci e 74 Consiglieri regionali e 5 nominati a vita dal capo dello Stato) mostra che il Pd avrebbe quasi la maggioranza, la quale sarebbe ottenuta con i Consiglieri regionali Senatori eletti dai partiti locali delle Regioni a Statuto speciale (si capisce così il senso del voto di scambio sancito dalle modifiche costituzionali per cui i due Senatori della Valle D’Aosta rappresenteranno 40.000 elettori ciascuno mentre i Senatori delle Marche rappresenteranno 700.000 elettori ciascuno! ) e dai senatori a vita.

Lo scenario a questo punto sarebbe semplice: maggioranza parlamentare schiacciante al partito che ha appena un terzo dei voti dei votanti, cioè al Pd, Presidente della Repubblica sempre allo stesso partito (eleggibile tra l’altro con la maggioranza dei votanti presenti), Corte Costituzionale monopolio sempre del Pd. Non male come progetto del governo della minoranza più forte!

Nel merito poi non è vero che si supera il bicameralismo, il Senato continuerebbe ad avere importanti poteri: partecipare alla elezione del Presidente della Repubblica, eleggere la sua quota di componenti nella corte Costituzionale, ratificare i trattati internazionali e richiedere di valutare le proposte di legge della Camera se un terzo ne farà richiesta, con buona pace per chi sostiene che sarebbe abolita la famosa “navetta” tra le due camere! Dalle modifiche costituzionali si comprende solo che i Senatori saranno eletti dai singoli Consigli regionali tra i loro membri, mentre 21 saranno i Sindaci, che dovranno essere scelti tra gli oltre 8.000 Sindaci degli altrettanto 8.000 Comuni italiani.

Dunque ci tolgono la possibilità di votare i Senatori per cui la composizione di questa Camera sarà totalmente nelle mani delle trattative nei e tra i partiti, a livello locale e nazionale, come già avviene con la Composizione dei Consigli delle aree metropolitane e oggi per le Province decostituzionalizzate, ma non soppresse. Infine saranno nominati Senatori, con tanto di immunità parlamentare e probabilmente con lauti rimborsi quei Consiglieri regionali che non troveranno spazio nella giunta come assessori, nel governo del Consiglio e della Presidenza o come Presidenti delle Commissioni. Sarà quindi il personale politico meno qualificato dei Consigli regionali, spesso quello inquisito, che andrà a comporre il cosiddetto Senato delle regioni e delle autonomie.

Anche nel rapporto tra Stato e Regione le modifiche costituzionali presentano una forte negatività. Si attua con queste proposte una nuova centralizzazione dei poteri in mano dello Stato senza tra l’altro una riforma vera della pubblica amministrazione. Un processo forte di accentramento (non è questo un ulteriore segnale di riduzione degli spazi di democrazia?) mettendo sostanzialmente in discussione l’ordinamento della Repubblica che si articola in Stato, Regioni e autonomie locali.

Il paradosso è che si affida ai Consigli regionali il compito di comporre il Senato ma gli stessi sono privati di poteri importanti per realizzare le politiche territoriali. Ovviamente le 5 Regioni a Statuto speciale resteranno fuori da questo processo accentratore. Potranno impunemente continuare a spendere e sperperare risorse pubbliche!

Si dice che questa riforma è un primo passo per modernizzare il Paese, per cambiare. Non si comprende però perché non siano state poste tra le modiche costituzionali alcune questioni di grande importanza per il futuro del Paese.

Prima di tutto sopprimere la norma della parità di bilancio voluta in Costituzione dal centrodestra e avallato dal Pd. Renzi vuole fare un braccio di ferro con l’Unione europea per avere meno austerità e più politiche per la crescita, però nulla dice e ha fatto per togliere dalla Costituzione una norma che sancisce in termini costituzionali proprio le politiche di austerità.
Si dice di voler maggiore stabilità di governo ma non si è voluto introdurre la norma della fiducia costruttiva alla tedesca con la quale si evitano crisi al buio riducendo il trasformismo e il malcostume del cambio di casacca passando da un gruppo parlamentare all’altro o con la nascita di gruppi il cui unico scopo è sostenere una maggioranza non espressione del voto popolare per avere qualche poltrona ministeriale.

Si dice infine di voler ridurre i costi della politica, ma non si riducono il numero dei deputati e soprattutto non si mette mano al riordino della miriade di enti intermedi non elettivi che prosperano tra Comune e Regione (Comunità montane, Consorzi, ect), come non s’intende rimuovere quell’istituto napoleonico a-democratico del Prefetto.

L’aspetto però più grave e persino pericoloso di queste modifiche è che hanno messo in discussione quello spirito repubblicano che animò i padri costituente nella stesura della Carta: la Costituzione è di tutti, non di una parte e le sue eventuali modifiche non possono assolutamente essere ridotte come attuazione di un programma di governo su cui formare una maggioranza parlamentare.
La contrapposizione tra la Dc e il Pci era forte, tra l’altro in una situazione internazionale caratterizzata dalla divisione del mondo in due sfere d’influenza, quella Usa e quella Sovietica. Ma i padri costituenti seppero dar vita, nonostante ciò, a una Costituzione da tutti pienamente condivisa, considerata tra le migliori del mondo e della storia dell’umanità; ma soprattutto si evitarono crisi istituzionali e momenti di tensione tali da mettere in pericolo la convivenza civile e democratica di un popolo ideologicamente diviso da profondi solchi e alti steccati.

Con questo referendum sta passando l’idea invece che una maggioranza parlamenta può modificare profondamente la Costituzione. Avevamo già avuto esperienze negative del genere, sia da parte del centrosinistra sia del centrodestra; ma le corpose modifiche che il Pd di Renzi vorrebbe introdurre rappresentano un pesante e pericoloso salto di qualità non solo per porre in soffitta la Carta costituzionale, ma anche lo spirito con cui i costituenti avevano con grande impegno lavorato nello scrivere la Costituzione, prolungando quell’unità democratica realizzatasi con la Resistenza. Renzi avrebbe dovuto muoversi con maggiore cautele e prudenza anche perché il Parlamento è stato in parte delegittimato dalla Corte Costituzionale che lo ha considerato eletto da una legge non del tutto conforme ai principi costituzionali.

È vero la prima parte, quella dei principi fondamentali, non è stata toccata da queste modifiche, però l’aver brutalmente rimosso lo spirito repubblicano, anche in modo plastico, con il Presidente del Consiglio, ministri e sottosegretari impegnati a sostegno del Sì, fino a legare l’esito del referendum con la tenuta del governo, sviliscono la Carta costituzionale anche in quella parte sulle grandi enunciazioni di principio. L’aver cosparso questo veleno nel Paese è la più grave delle responsabilità politiche e storiche del Pd di Renzi. Solo se fosse per questo, per le lacerazioni e nuove divisioni che si stanno introducendo e producendo nel Paese, occorre votare No.

Alessandro Valentini