elezioni portoghesi

Europa, la lezione delle elezioni spagnole. di P. Borioni

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Il Belgio rimasto, alcuni anni fa, senza governo e soluzioni politiche per lungo tempo poteva sembrare una patologia di una paese complesso, in cui la difficile convivenza fra fiamminghi e valloni spaccava in due tutte le famiglie politiche rendendo incerta ogni coalizione.

Il Belgio è solo l’avanguardia

La realtà, confermata quasi ovunque è che stavamo entrando allora in un’epoca in cui vacillano anche i sistemi partitici e le culture politiche più salde. La Spagna alla quarta elezione di fila senza esito, la Svezia governata in modo del tutto precario, la Germania in cui la Grande coalizione perde il 30% dei voti e quasi scompare da intere zone del paese, il UK in preda alla anarchia post-Brexit, l’Austria che consuma formule politiche in serie, la Francia oscillante fra stabilità maggioritaria e tumulti continui.

I due maggiori fattori sono la grande crisi economica di alcuni anni fa, abbinata alle dottrine economiche consustanziali alla odierna Ue: le società europee un tempo incamminate lungo la strada del rapporto stretto fra eguaglianza e mobilità sociale si stanno trasformando in società gerarchiche in arretramento.

Il “caso” portoghese

La positiva eccezione portoghese, non a caso, deriva dal “rimbalzo” posteriore a un’epoca di feroce austerità, che il governo socialista sostenuto dalla sinistra ha invertito, ricominciando (prudentemente) a redistribuire verso categorie collocate in basso. Ma è improbabile che a Costa sarà consentita la fase successiva: addurre la propria esperienza come la definitiva confutazione dei dogmi ordoliberali europei.

I socialdemocratici danesi

Anche in Danimarca sono i socialdemocratici a consentire un governo relativamente stabile, ma anche qui (pur in un quadro economicamente più che sano!) ciò è frutto di una strategia determinata a cambiare per esempio le politiche pensionistiche restrittive, la sperequazione fra comuni ricchi e poveri. Ma assieme a ciò per riconquistare i ceti operai persi verso il nazional-populismo il sindacato danese tiene duro contro un padronato che vuole risolvere ogni problema di mercato del lavoro importando nuova manodopera a basso costo, e la socialdemocrazia è pronta a cambiare gli aspetti più disumani e propagandistici della politica migratoria della destra, ma mantenendo regole restrittive. Il fine principe è “integrare i danesi di retroterra non occidentale” già presenti, non aprire a nuovi rifugiati o immigrati.

Se arretrano diritti e welfare

In Spagna il Psoe conferma che i socialisti hanno difficoltà evidenti, ma non sono più in crisi di altri. Perdono tre seggi, ma ne ottengono 120, il Partido Popular, pur avanzando di 11 seggi rimane distante a 87, aggiudicandosi molto meno di quanto perde l’altra destra (evanescente e nuovista) di Ciudadanos, che crolla da 40 a 10 seggi. Anche chi riteneva di essere la grande novità dominante, Podemos, perde ben 7 seggi (da a 42 a 35), il che solo in parte si spiega con la scissione dell’efebico, eloquente e fumosamente postmateriale Errejon, che con il suo Mas Paìs ottiene solo 3 seggi.

Avanza la destra di Vox

Ma la vera bomba spagnola è quella di Vox, un nazionalpopulismo che ben poco si differenzia da un fascismo franchista che dista solo 40 anni, dopo essere durato altri 40. Vox esplode: da 24 a 52 seggi, ma l’elemento centrale è l’intensità dell’accelerazione di un partito che a quanto leggiamo (da non esperti di cose iberiche) solo due anni fa non era presente in alcuna istituzione elettiva. Ciò eguaglia e forse sopravanza la prestazione che pareva imbattibile dell’estrema destra svedese (Sverigedemokraterna): assente dal parlamento tre legislature fa, oggi totalizza il 17%, nei sondaggi è seconda ad un punto dai socialdemocratici, e spacca la vecchia alleanza fra partiti liberal-conservatori borghesi che aveva governato fra 2006 e 2014.

Se arretrano diritti e welfare

Si obbietterà che in Spagna è la questione Catalana a rendere tutto più anomalo, ma il quadro generale sembra affermare ben di più. Senza contare che anche la Catalogna (così come il regionalismo differenziato Lombardo-Veneto) è dentro un contesto che, spaccando le società nazionali, provoca reazioni identitarie di vario tipo: le regioni più avanzate disdicono la solidarietà con quelle meno performanti, cercando così di rimanere nelle catene produttive europee del valore ai costi sempre più bassi che queste impongono.

Allo stesso modo le classi medie e operaie in difficoltà, a cui da decenni si è scolpito in testa che welfare, diritti e salari possono e devono solo arretrare, cercano almeno di escluderne “i nuovi” per non dividere con troppi ciò che hanno visto sempre più scarseggiare.

Il purgatorio della Lega

Sono questi gli elementi comuni di anomia, di incertezza, di imprevedibilità. Elementi crescenti. Ricordiamo che la nostra Lega ci ha messo 30 anni per raggiungere i livelli attuali. Nonostante Tangentopoli e, dal 1994, la scomparsa unica di un’intero sistema politico, essa ha dovuto attendere il disfarsi di una destra berlusconiana che, a vederla oggi, era qualcosa di diverso.

Si apriva ad elementi populistici (la personalità di Berlusconi, alcuni toni anti-meridionali della Lega nella fase di Bossi) ma al contempo accoglieva la “ex destra” di Fini in cammino sincero verso la normalizzazione, e si muniva largamente di una classe dirigente della “prima repubblica” tutt’altro che populista (Casini, Sacconi, Cicchitto, Pisanu) in comunicazione soprattutto con l’elettorato ancora schiettamente moderato, rimasto orfano del “pentapartito”.

L’accelerazione della Spagna

Oggi invece avanza ovunque una nuova destra che cavalca libera (è lei ad assorbire gli ex-moderati, non viceversa), e può farlo sia con nuovi partiti, sia conquistando quelli pluricentenari (i Tories britannici, i repubblicani in Usa).
A confronto con tutto ciò pare quindi che la
Spagna confermi una accelerazione inquietante verso qualcosa di più nudamente e schiettamente nazional-populista, di cui il nostro paese è parte.

Un fenomeno con differenziazioni e particolarità nazionali, regionali e locali, ma troppo esteso per essere risolto con gli aforismi autorazzisti alla Flaiano o alla Eco (il fascismo carattere nazionale, il “fascismo eterno”), con gli stereotipi antropologici (il welfare nordico generoso solo con chi è biondo e luterano) o con le nuove caricature sulla perfida Albione (gli inglesi posseduti da un destino imperiale extraeuropeo).

Rispetto per i patti costituzionali antifascisti

Occorre essere umili, tornare alla storia e vedere quali politiche e quali culture politiche rafforzano la democrazia, e quali le sono nocive. Tutto, come è ovvio, va adattato a tempi diversi, senza idoli e idealizzazioni. Ma sapendo che i mantra “da terza via” non risolvono: nessuna integrazione internazionale, europea o globale, regge se gerarchizza sistematicamente anziché includere programmaticamente, se non si riequilibra lasciando spazio alle democrazie nazionali. E se non rispetta i patti costituzionali antifascisti che esse si sono date all’epoca in cui la democrazia davvero avanzava.

Paolo Borioni

Articolo tratto dal sito Strisciarossa: http://www.strisciarossa.it/europa-la-lezione-delle-elezioni-spagnole/?fbclid=IwAR1cZZG7V1W9N1YLZEbiKe8lZwD2mAIPzgQJZZ_DzTzjWnJz5OY-mXCB0Pw

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