Diritti Civili
A Salvini il premio Attila dei diritti sociali. di M. Pasquini

Ieri la question time del ministro Salvini, alla Camera, ha reso evidente anche ai ciechi quanto il governo stia preparando e attuando una strategia di affossamento del diritto alla casa relegandolo.a single, forze dell’ordine, padri separati.e studenti (ovviamente ricchi e meritevoli).
Mai Salvini, in diretta tv, ha citato gli sfrattati (40.000 sentenze l’anno), mai ha citato le famiglie nelle graduatorie (oltre 600.000) mai ha citato le 889.000 famiglie in povertà assoluta in affitto.
Salvini ieri ha detto che NON intende rifinanziare il fondo contributo.affitto e morosità incolpevole destinando le 350.000 famiglie richiedenti al baratro dello sfratto.
Ha parlato, ieri, il Salvini di un piano casa di legislatura ma che è un imbroglio, non saranno case popolari e di fatto tra le righe si legge che regaleremo immobili ai privati per fare molto housing e poco social. Insomma ieri si è acclarato come il governo non percepisca o non intenda percepire la vera condizione abitativa in Italia.
Ma ieri Salvini ha anche detto che chiama il Parlamento a collaborare ebbene io credo che il Parlamento dovrebbe accettare la sfida avviando una indagine conoscitiva sulla condizione abitativa in italia, per poi con mozioni programnatiche indicare al governo che piano casa serve al Paese.
Che sia il parlamento a dare le indicazioni al governo su come realizzare un vero piano casa basato sul fabbisogno reale in tutte le sue articolazioni e non sul fabbisogno di costruttori e lobby economiche del mattone.
Segnalo come ieri si sia reso evidente l’assordante silenzio di Comuni e Regioni che non si rendono conto come il colpevole abbandono di politiche abitative pubbliche, che ha portato ad avere meno case popolari e oggi il venire meno di contributi affitto li metta nell’occhio del ciclone sociale che sta per abbattersi su di loro.
Infine, davvero, non è il momento delle autosufficienze, dei distinguo.
O siamo in grado di far si che un vasto fronte dai sindacati ai sindacati inquilini, dal terzo settore all’associazionismo cattolico, dalle università agli urbanisti, coglie la gravità della situazione sociale oppure mettiamoci da parte e assistiamo alla tabula rasa che il governo vuole fare dei poveri
Massimo Pasquini
L’Afghanistan, una dura lezione per l’arroganza occidentale. di A. Angeli

Il 15 agosto del 1971, con una dichiarazione del Presidente USA Richard Nixon finì il regime dei cambi fissi di Bretton Woods mettendo fine alla convertibilità del dollaro in oro. 15 agosto 2021 Kabul viene occupata dai Talebani costringendo ad una fuga umiliante Ashraf Ghani Presidente dell’Afghanistan e quanto rimaneva delle rappresentanze delle forze di occupazione internazionali. Mentre i civili, gli addetti alle ambasciate e quanti hanno collaborato con le forze occidentali, le ONG, e i rappresentanti dei media vivono un avvilente e struggente situazione in attesa di potersi imbarcare su un aereo per la fuga da un Paese ormai nelle mani dei nemici giurati: i Talebani. Qualcuno si chiederà: ma sono due avvenimenti distinti e distanti? La lezione della storia è molto chiara: gli americani non sono fatti per occupare i paesi feudali di mezzo mondo, come non erano nella condizione di rispettare gli accordi Bretton Woods e decise di uccidere il sistema dei cambi fissi decidendo di sospendere la convertibilità del dollaro in oro. Anche gli inglesi molto tempo fa dovettero affrontare la follia dell’invasione dei paesi sotto sviluppati, correva l’anno 1842 quando circa 17.000 soldati, mogli e servitori dell’esercito britannico e indiano furono uccisi mentre cercavano di ritirarsi attraverso le montagne innevate verso Jalalabad.
L’idea che i Paesi occidentali, con la loro rappresentanza di super potenza, cioè gli USA, avrebbero trasformato l’Iraq e l’Afghanistan in una democrazia jeffersoniana si è rilevato un arrogante errore di calcolo, guidato da macho hybris, non dalla sicurezza nazionale. Se per puro caso della storia gli americani e i suoi soci internazionali avessero potuto rimanere in Afghanistan per un secolo – mantenendo in vita i burattini corrotti e ladroni, dando ascolto ai generali USA e ai comandanti dei 300.000 mila soldati Afghani scioltisi come la neve al sole, che hanno sempre mentito impegnando e sprecando trilioni – beh da oggi non potranno più farlo. Intanto è prioritario impegnare tutti i mezzi necessari per non lasciare le decine di migliaia di afghani che ci hanno aiutato alla tenera misericordia dei talebani. E dare ascolto al rapporto delle Nazioni Unite che ci ricorda il vero volto dei talebani, che stanno dando la caccia a quanti hanno lavoravato con l’America o la NATO, così come le loro famiglie, e minacciano di ucciderle.
Oggi scopriamo ( invero, lo avevamo già scoperto con Saigon, prima ancora con la Corea ) che il più grande esercito della terra dipende dalla “diplomazia e dal dialogo aperto con i talebani”,, per salvare le persone che hanno rischiato la vita per gli USA e la NATO. Non hanno ispirato fiducia quanti si sono alternati nelle conferenze stampa da Biden alla Merkel, da Di Maio a Johson e gli altri soci, che sono andate in onda anche quando alcuni afgani dell’esercito hanno lasciato il loro paese a bordo di aerei americani e i talebani hanno sequestrato armi, elicotteri e camion americani lasciati in dono dall’esercito americano in fuga. Donald Trump avrebbe potuto rendere ( pretendere ) il passaggio più sicuro e ordinato con quanto da lui negoziato. Il suo “accordo di resa” del 2020, come lo ha definito il suo ex consigliere per la sicurezza nazionale HR McMaster in un’intervista con Bari Weiss, nascondeva proprio questa umiliante fuga di una grande potenza. Eppure, nei lunghi quattro anni di Presidenza abbiamo scoperto come Trump sia un terribile negoziatore. Biden avrebbe potuto muoversi con più competenza e dire ai talebani che non stava rispettando l’accordo fatalmente imperfetto di Trump e rinegoziarlo per evitare questa disgraziata improvvidenza che travolge la vita di migliaia di famiglie e di giovani Afghani. Ma sia Trump che Biden erano così impazienti di andarsene, che i loro pasticci si sono fusi in una burocrazia strangolante.
Il Dipartimento di Stato ha indugiato per mesi nell’ottenere i visti per gli alleati afghani e, mentre i talebani occupavano città, paesi e capoluoghi di provincia, ha trascurato la pianificazione di emergenza per una possibile evacuazione. Tuttavia, fa rabbia assistere alle parate dei nostri politici responsabili in qualche modo di questo disastro, che si pavoneggiano davanti alle telecamere, o ascoltare i conduttori dei talk show italiani o di altri paesi che ci “spiegano” i fatti e interpretano ciò che ognuno di noi, se non prevenuto o cieco è in grado di vedere, commentare e giudicare; e questo avviene ormai da oltre 20 anni, dall’Iraq all’Afghanistan. Eppure, ognuno di noi avrebbe dovuto immaginare che un 15 agosto prima o poi sarebbe venuto e che la storia, come ci invita a ricordare Marx, si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa
Alberto Angeli
Un esempio storico per costruire un mondo civile e giusto. di A. Angeli

Erodoto, Senofonte, Platone e tanti altri si sono cimentati nel corso del periodo dell’antichità classica ad esplorare e trattare gli aspetti sociali riguardanti l’amore tra persone dello stesso sesso. Tra queste, nelle terre elleniche, la forma più diffusa dei rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso era prevalentemente quella tra adolescenti e adulti, che in quel periodo era indicato come pederastia. Dalla lettura dei testi scopriamo che i greci non concepivano l’orientamento sessuale come un identificatore sociale, questo era dovuto al fatto che la società greca non era interessata a distinguere il comportamento sociale dal sesso in cui erano coinvolti i partecipanti, limitandosi a considerare solo il ruolo che ciascuno dei partecipanti assumeva nel rapporto e nell’atto sessuale, indicandoli come passivo o attivo. Si sa con ampiezza di analisi che tali rapporti erano considerati in contrasto con le rigide convenzioni sociali che con tali atti erano violate. Dalle letture dei pensatori dell’epoca non si trovano elementi per valutare come fossero considerati i rapporti sessuali fra le donne e quale fosse il giudizio della società su tale comportamento, soprattutto se si tiene conto di quanto scritto in materia dalla poetessa di Lesbo, Saffo.
Nello scorrere dei secoli, dopo i greci, dei romani e poi dal medio evo e, superando il periodo della modernità fino alle soglie del XXI secolo, anche a causa di una forte ingerenza religiosa nell’orientamento culturale e sociale sulla formazione delle leggi riguardanti appunto i comportamenti considerati innaturali e offensivi della cultura e delle leggi allora in vigore, gli orientamenti omosessuali, transessuali, donne e disabili si palesano come atti criminali e quindi condannabili.
In questo 1°/4 del XXI secolo in molti paesi che fondano la loro cultura su principi di laicità dello stato e su un sistema democratico/ parlamentare, dello svolgimento della vita politica e istituzionale, si colgono significativi cambiamenti e l’adozione di conseguenti provvedimenti di sostegno a LGBT+, compreso il riconoscimento giuridico del matrimonio tra persone dello stesso sesso. Anche da noi, in Italia, la questione dell’orientamento sessuale e dei rapporti tra persone dello stesso sesso è al centro di un difficile scontro di natura culturale, in cui centrale è la ragione di coloro che si battono contro ogni criminalizzazione dell’omofobia. Per raggiungere questo obiettivo è stato predisposto un Ddl da parte del parlamentare On. Alessandro Zan in corso di approvazione al senato della Repubblica, avendo ricevuto già il voto positivo della Camera. L’opposizione della destra, alla quale si è associata IV di Renzi, rende il percorso del Ddl difficile e, a seconda del risultato, con possibili riflessi negativi sulla maggioranza di governo che sostiene Draghi.
Purtroppo, coloro che si battono contro una legge necessaria per introdurre nel nostro sistema diritti inalienabili e sanzioni contro l’omotransfobia e la misoginia, sono la continuità storica di una cultura fascista, autoritaria e una concezione della superiorità razziale, una retrocultura da fa valere contro i più deboli. Merita al proposito ricordare un evento di forte interesse culturale, poiché coinvolge una donna omossessuale. Si tratta di un libro, uscito nel 1925, in cui si dà voce alle lesbiche. L’autrice si chiamava Eve Adams pseudonimo del nome Evelyn Addams, e il suo libro “Lesbian Love”. L’autrice, considerata all’epoca indecente, nata ebrea, trova la sua fine nel Passenger 847 su Transport 63 to Auschwitz.
Il libro, “Lesbian Love”, è una raccolta di racconti e illustrazioni pubblicato nel febbraio 1925. Esplora i risvegli sessuali e la natura che sfida il genere di diverse dozzine di donne di diversa collocazione sociali che Adams aveva incontrato in Greenwich Village e nei suoi viaggi, come commessa itinerante di periodici multilingue rivoluzionari. Ha cambiato i nomi dei suoi personaggi per proteggere le loro identità.
Negli anni ’20, Adams gestiva una sala da tè per lesbiche e un ritrovo letterario nel seminterrato di 129 Macdougal Street nel Greenwich Village. All’epoca, libri come quello della Adams erano considerati indecenti e bruciati . Le sue 150 copie stampate di “Lesbian Love” sono scomparse. Nel tempo il suo lavoro svanì dalla memoria. Suo fratello più giovane, Yerachmiel Zahavy, perse le sue tracce durante la seconda guerra mondiale. Ha inviato lettere alla Croce Rossa chiedendo dove si trovasse, ma sono state restituite senza risposta. In seguito cercò lei e altri membri della famiglia in Israele e negli Stati Uniti, ma senza successo. Sul letto di morte nel 1983, Yerachmiel chiese a suo nipote Eran Zahavy, allora 18enne, di continuare le ricerche. “Devi cercare Chawa”, disse, usando il nome di nascita di Adams. Quello che non sapeva era che sua sorella era stata catturata e mandata nel campo di concentramento di Auschwitz nella Polonia occupata dai nazisti. Il giovane Zahavy mantenendo fede alla richiesta di suo nonno si mise a fare ricerche. Attraverso un contatto con un drammaturgo che aveva scritto pezzi teatrali su Adams, riuscì a ricostruire la vita della lontana parente.
Secondo le cronache Chawa Zloczower è nata il 27 giugno 1891 a Mlawa, in Polonia. Piena di voglia di viaggiare, da giovane si imbarcò sulla SS Vaderland ad Anversa, in Belgio, e, all’età di 20 anni, arrivò da sola a Ellis Island a New York il 4 giugno 1912. Parlava sette lingue, incluso l’ebraico, e scrisse in una lettera a un amico che si sentiva completamente a casa e da nessuna parte. “In tutto il mondo, sono una straniera”, scrisse, “e nel paese in cui sono nata, sono ebrea”. Presto assunse la traduzione inglese del suo nome, Eve. E appoggiandosi a quella che il suo biografo, Jonathan Ned Katz , ha descritto come “la sua persona androgena”, ha combinato “un po’ di Eva, un po’ di Adamo” per un nome più adatto a lei. Preferendo i vestiti da uomo e la compagnia delle donne, Adams ha vissuto la sua vita con audacia in un momento in cui il mondo considerava che l’unico modo decente di viverlo era tenerlo a porte chiuse. Tra i suoi amici annoverava gli anarchici e rivoluzionari Emma Goldman e Alexander Berkman , nonché l’autore di rottura dei tabù Henry Miller .
Il governo degli Stati Uniti considerava Adams un “agitatrice”. Si mosse l’FBI guidata da J. Edgar Hoover , la “Divisione radicale” dell’agenzia, che l’accusa di spionaggio. Fu arrestata nel 1927 da un agente di polizia sotto copertura , Margaret M. Leonard , che era entrata nell’Hangout di Eve e aveva ottenuto una copia di “Lesbian Love”. Il libro fu ritenuto indecente e Adams è stata trattenuta con diverse accuse, tra cui per manifesta condotta disordinata. Fu condannata e trascorse 18 mesi in prigione prima di essere deportata in Polonia il 7 dicembre 1927. Nel 1934 si trasferisce a Parigi, dove, nei caffè, vende libri proibiti, tra cui “Tropic of Cancer” di Henry Miller. Nel giugno 1940, mentre le truppe tedesche si avvicinavano a Parigi, lei fugge nel sud della Francia dove aiuta la Resistenza. Viene arrestata mentre viveva a Nizza e trasporta nel campo di internamento di Drancy a Parigi nel dicembre 1943. Trasferita ad Auschwitz nel 1945, come è stato rilevato dai registri del campo di prigionia, è sottoposta alla doccia con altri 850 ebrei. Una strada nel 18° arrondissement di Parigi, sulla riva destra vicino a Porte de La Chapelle, porta ora il suo nome, celebrando il suo contributo alla città come “attivista pioniera per i diritti delle donne”. Anche una scuola e un asilo sono intitolati a lei, e per questo autunno è prevista una cerimonia di inaugurazione che coinvolge le ambasciate polacca e americana.
Alberto Angeli
Se essere mamma fa a pugni col lavoro. di S. Bagnasco
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L’Ispettorato del lavoro ci informa che nel 2019 le donne che hanno lasciato volontariamente il lavoro sono state 37.611; nel 2011 erano state 17.175 e anno dopo anno aumentano incessantemente.
Il 65% delle donne lasciano per le difficoltà di conciliare il lavoro con la cura dei figli.
La fascia di età è concentrata tra 29 e 44 anni, nel pieno quindi della vita professionale.
La vita familiare si conferma poco paritaria e il gap tra i generi ancora enorme.
C’è poco da farfugliare di natalità, se non si affronta la questione del diritto per una donna di essere lavoratrice e madre e la questione della disoccupazione giovanile. Perché mi pare ovvio che i giovani sono disoccupati in modo impressionante non perché si fanno pochi figli ma perché questo Paese non offre opportunità ai giovani dopo aver chiesto alle donne di rinunciare al lavoro o a essere madre.
Le ragioni di questi insuccessi, che con costanza raccogliamo anno dopo anno, sono sempre gli stessi: carenza dei servizi per la prima infanzia, costi troppo alti per l’assistenza attraverso nidi o baby sitter, mancanza di posti al nido, mancanza di parenti a supporto delle giovani famiglie, questione sempre più stringente considerato che sempre più spesso le giovani coppie si formano lontane dai luoghi di origine perché lontano dalle rispettive famiglie hanno trovato lavoro.
La realtà è quindi ancora quella di decenni fa, nonostante i fiumi di parole su occupazione femminile, parità di genere e natalità: la donna troppo spesso è ancora posta di fronte alla scelta tra diventare mamma o lavorare.
Non ci siamo!
Adesso si profila il Family Act, vedremo come si concretizzerà; certamente un passo avanti, ma al momento mi sembra inidoneo a risolvere i problemi reali perché al primo posto non c’è il nido accessibile a tutti e la scuola a tempo pieno.
L’assegno universale e i congedi parentali non compensano la mancanza di adeguati servizi per l’infanzia.
Sergio Bagnasco
Quel giorno che le donne scelsero la Repubblica, di G. Bellentani
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Finalmente quel 2 giugno era arrivato. La guerra era finita da un anno e dopo tanto tempo si poteva votare in libertà. In quel Referendum si chiedeva agli italiani di scegliere tra Monarchia e Repubblica, e da questa scelta sarebbe dipeso il futuro del Paese. Erano stati mesi di campagna referendaria pieni di discorsi e di slogan. I favorevoli alla Monarchia ricordavano che l’Unità d’Italia era stata fatta dai Savoia e che scegliere la Repubblica era un salto nel buio, visto che tante erano ancora le disuguaglianze economiche, culturali e sociali che esistevano tra Nord e Sud. Gli italiani, da sempre divisi, si sarebbero potuti ritrovare uniti sotto lo stesso progetto di democrazia? I favorevoli alla Repubblica ricordavano i comportamenti dei Savoia, i quali avevano portato l’Italia in due guerre, causa di centinaia di migliaia di morti, ma che soprattutto avevano permesso che nel Paese si instaurasse una feroce e sanguinaria dittatura, per poi scappare a Brindisi come i più pavidi dei codardi, lasciando i propri sudditi alla mercé dei nazifascisti.
Nelle strade e nelle osterie, ormai non si parlava d’altro. Ciò che invece sembrava irreale era che in quella domenica di giugno del 1946 anche le donne potessero votare. L’Italia, come tanti altri Paesi, avrebbe avuto finalmente il Suffragio Universale. Già nel 1919, le deputate Anna Maria Mozzoni e Anna Kuliscioff avevano portato in Parlamento questa mozione per estendere il voto alle donne, mozione che era passata alla Camera, ma che poi non ebbe il tempo di passare al Senato, in quanto vennero indette nuove elezioni. Anche Benito Mussolini, quello che considerava le donne alla stregua di serve del marito e fattrici, con la Legge Acerbo, conferì alle donne il diritto di voto, a condizione che dovessero essere mogli di caduti o decorati in guerra, in possesso di titolo di studio e contribuenti per 40 lire annue. Quindi, praticamente pochissime.
Già nel 1944, mentre l’Italia era ancora divisa in due, con le Forze Alleate al Sud e tedeschi e Partigiani al Nord, si pensava al futuro, tant’è che un comunicato luogotenenziale diceva espressamente che “Le forze istituzionali saranno espresse dal popolo italiano, che a tal fine eleggerà a Suffragio Universale un’Assemblea Costituente”.
Sia De Gasperi che Togliatti, avevano grosse perplessità riguardo al voto alle donne. Lo stesso Segretario del PCI dichiarava ai suoi che “le donne di solito optano nelle loro scelte per un passato reazionario”.
Il 10 marzo del 1946 c’erano state le Elezioni Amministrative a suffragio universale per eleggere i Sindaci di duemila comuni e per la prima volta vennero elette due Sindaci donna, Ada Notari e Ninetta Bartoli. Questa volta però si trattò di una scelta a carattere nazionale e non solo locale.
Già di primo mattino le strade erano piene di donne. Le vecchie, coi fazzoletti in testa, sorrette dai figli, andavano ai seggi, per fare una cosa che mai avevano fatto in tutta la loro vita. Prima di morire, erano curiose di fare questa nuova esperienza. Le giovani, col vestito buono e le scarpe della festa, truccate, andavano in gruppo ai seggi, cantando canzoni. Appena la prima delle giovani ricevette la scheda di voto, fu informata che nel caso il documento fosse stato sporcato, il voto sarebbe stato invalidato. La voce corse subito fuori e tutte quelle giovani donne tirarono fuori dalla tasca i fazzoletti, per togliersi il rossetto. Alla sera a casa, padri e mariti non chiesero nulla alle loro donne: sapevano che nella cabina elettorale, ognuna di loro aveva votato come le pareva, senza lasciarsi influenzare da consigli o imposizioni.
Votò l’89,08 % degli aventi diritto e vinse nettamente la Repubblica. Il voto delle donne, che erano circa un milione più degli uomini, si rilevò in termini proporzionali decisivo per la scelta repubblicana. Furono 21 le donne elette alla Costituente. Esse lavorarono assieme agli uomini per scrivere la Costituzione. Una di queste, Teresa Mattei, del PCI, al discorso per il suo insediamento, pronunciò queste belle e semplici parole: “Dall’emancipazione delle donne, tutta la società ne trarrà giovamento, quindi anche gli uomini”.
A queste donne che hanno combattuto al fianco dei Partigiani o che si sono sobbarcate tutto il lavoro domestico mentre i loro uomini erano in montagna o nei campi di prigionia, va tutta la nostra gratitudine. A loro che hanno voluto un futuro migliore per i loro e i nostri figli, a loro che hanno lottato per un Paese fatto di democrazia e diritti, a loro che hanno contribuito a scrivere la Costituzione più bella del mondo, noi diciamo grazie. Il vostro diritto al voto, giusto e inequivocabile, l’avete conquistato e meritato sul campo.
Gianluca Bellentani
Tratto dal Blog https://mimmomirarchi.wordpress.com/2017/05/31/quel-giorno-che-le-donne-scelsero-la-repubblica/
A proposito di migranti e politiche di sinistra, di L. Lecardane
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Premetto che non bisogna assolutamente confondere le Ong con le cooperative che gestiscono i Cie. Tra le organizzazioni non governative ci sono Medici Senza Frontiere, Emergency ed altre. Ad esempio MSF è formata da medici che si mettono in aspettativa e vanno in zone a rischio. Tutte le Ong, prima di andare in qualsiasi posto, sono precedute dall’ Unhcr, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, poiché questa organizzazione internazionale è l’unica che può coordinarsi con uno Stato per aiutare i rifugiati.
Detto questo:
1) i procuratori di Catania e Trapani hanno tutto il diritto di indagare e di chiedere i mezzi per farlo; ciò che non possono fare è, quello di Catania, urlare ai quattro venti di essere sicuri che alcune ong (quelle meno conosciute) ci guadagnino e l’altro, quello di Trapani, che i migranti diventano manovalanza per la mafia, anche perché chi sbarca viene distribuito in varie regioni italiane. Debbono indagare in silenzio vista la situazione in Italia;
2) un parlamentare della Repubblica ha il diritto/dovere di chiedere conto e ragione al governo rispetto alla questione Ong, può essere criticato per questo, non insultato, ma deve andarci con i piedi di piombo;
3) se non si vuole dare mano libera a Salvini e company, bisogna avere una posizione articolata: tra dire affondiamo le barche e accogliamoli tutti io ritengo esista una posizione forte e molto più di sinistra. Accogliamoli perché scappano da carestie, guerre e persecuzioni, ma organizziamo, intanto, attraverso le organizzazioni internazionali non private, come Unhcr, Unicef etc… lo sviluppo serio del terzo mondo, il trasferimento di tecnologia e di conoscenza, il tutto gestito, non da governi nazionali, ma da persone capa ci di organizzazioni internazionali. Bisogna costruire imprese, dare la possibilità di coltivare terreni;
4) esiste una commissione parlamentare migranti a quanto pare, perché non indaga sul fenomeno? Questo sarebbe un modo per garantire le Ong pulite e dare una immagine di attenzione alle paure di alcuni.
Luca Lecardane
La politica che vorremmo, di O. Basso Persano e C. Baldini
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Vorremmo una politica che si rifaccia al suo significato etimologico:
Dal greco antico politikḗ (“che attiene alla pόlis”, la città-stato), con sottinteso téchnē (“arte” o “tecnica”); per estensione: “arte che attiene alla città-stato”, talvolta parafrasato in “tecnica di governo (della società)”.
Quindi, per noi, chi decide di fare politica si deve occupare del benessere della città-stato, oggi della società, e il benessere della società trae origine dal benessere delle persone.
In questi ultimi decenni (per non dire secoli), la Politica si è occupata sempre meno del benessere delle persone, per arrivare a non occuparsi neanche più del benessere del pezzettino di società costituito dalla propria nazione, per occuparsi sempre più del benessere del capitale, della finanza e quindi di quella ristretta cerchia di persone che ,tramite il denaro, tanto, e sempre di più, incidono sulla politica e quindi sull’economia reale.
Ma il benessere della società è direttamente proporzionale a quello di TUTTE le persone, non di un’elité.
Lo stesso Pil (prodotto interno lordo) è fatto di soli numeri di produzione, ma non di come si produce, di importazione e di esportazione. Non c’è alcun dato nei calcoli del Pil che riporti la condizione di vita e di lavoro e quindi di benessere delle persone che danno quel Pil. Quindi, che senso ha dire che il pil della Spagna è raddoppiato quando la disoccupazione è al 40%.?
Chiaramente se si licenzia e si sfruttano maggiormente quelli che restano, è una cifra illusoria che non rispecchia l’economia di un Paese ma che porta acqua al solito mulino.
Partendo da questi presupposti, la nostra idea di Politica ha come principi fondanti i bisogni delle persone:
– Alimentarsi
– Vestirsi
– Curarsi
– Muoversi
– Istruirsi
– Aiutarsi
Per fare tutte queste cose, è necessario riportare il lavoro, la scuola, la sanità, le comunicazioni e l’ecosostenibilità al centro dell’agenda politica di chiunque si appresti a governare la società.
Mai come oggi occorre dire chiaramente “Prima le persone”
Il lavoro deve essere un diritto di tutti, tenendo conto di quali sono le finalità del lavoro: non l’arricchimento di pochi sulla pelle di tanti, ma un metodo per ottenere il necessario (e se possibile anche il superfluo) per vivere; quindi, se si ottiene l’obiettivo con meno ore di lavoro, si lavori di meno e si assumano altre persone (LAVORARE MENO, PER LAVORARE TUTTI).
Va da sé che se siamo concordi su questo punto chiave, non possiamo accettare il liberismo come politica economica.
Queste cose, badate, non sono argomentazioni marziane, nei paesi nordici (Svezia) sono già messe in atto.
Esiste quindi un percorso già tracciato che non azzera i presupposti economici del capitalismo, ma cerca di conciliarli tramite i diritti delle persone con il valore del benessere delle persone in carne ed ossa.
Non v’è alcun dubbio che occorre ribaltare la globalizzazione nelle sue strategie ed origini viziate dal liberismo sfrenato.
La scuola è uno dei servizi che vengono demandati a un’istituzione che rappresenti i cittadini. Questa istituzione trova le risorse per attivare l’istruzione dei propri rappresentati raccogliendo i soldi da ognuno di loro, secondo le possibilità di ognuno, perché funziona così, il nucleo primario delle società è la famiglia, in cui non tutti portano a casa uno stipendio, ma tutti ricevono la loro parte e danno il loro contributo come possono.
Anche la sanità è uno di questi servizi ed entrambi non hanno nessun obbligo di dare un profitto immediato, perché sono servizi che precorrono un profitto successivo: il cittadino competente, preparato e sano provvederà a produrre il profitto.
Le comunicazioni, soprattutto in un mondo globalizzato come il nostro devono essere incentivate e libere, le persone devono potersi spostare senza grossi impicci, possibilmente nella maniera meno invasiva possibile per l’ambiente, quindi bisogna dare un grande impulso ai trasporti pubblici, invece di tagliarli.
Perché non si può accentrare in pochi luoghi i servizi principali e togliere la possibilità di raggiungere quei luoghi, se non con enorme dispendio di tempo ed energie.
E qui si collega anche l’ecosostenibilità, non possiamo pensare di sfruttare all’infinito le risorse naturali del nostro pianeta, non possiamo pensare di usare tutto l’universo animale e vegetale, come se non ci fosse un domani e soprattutto infliggendo dolore e morte non necessari.
In conclusione noi chiediamo ad un partito che vuole affermarsi come Sinistra Italiana o a chiunque voglia ricostruire un insieme valoriale che si richiama a questi punti fermi, di intraprendere questo percorso con chi, senza esitazione, si sente di dovere dare ancora un valore storico alla parola Sinistra. Le ideologie sono state derise da chi aveva interesse a farlo, ma questa operazione ha portato all’annullamento di forze sociali organizzate su valori comuni.
E’ buffo come la sinistra abbia smontato il suo patrimonio ideologico ed invece la destra l’abbia rafforzato e affondato il coltello nel buco nero lasciato da una stolta sinistra.
Anche i movimenti non sono partiti veri e propri. Anzi disprezzano il partito. Non capiscono che è la forma di rappresentanza che occorre mettere in atto per contrastare l’ideologia rimasta sempre viva: quella del Denaro innanzitutto.
Orietta Basso Persano e Claudia Baldini