Cambiare Passo, di A. Badessi

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antonello badessidi Antonello Badessi

Roma, 23 maggio 2014 – Troppe volte si è detto che siamo ad un punto di svolta della sinistra e troppe volte abbiamo continuato a fare politica come prima. Ora però c’è di più: o si cambia passo o si scompare.

Il quadro generale è inedito. In Italia, siamo di fronte a due forme diverse e complementari di populismo, date complessivamente dai sondaggi intorno al 60 %, ai quali andrebbe sommato il 20% circa previsto per Forza Italia, che occupano anche spazi tradizionalmente di sinistra. Una prima forma è quella manifestata da Matteo Renzi ed assume un carattere tecnocratico, modernista, che tocca le corde di una classe media che soffre una vistosa tendenza alla proletarizzazione. È sostenuto dal grande potere finanziario e cerca di ritagliarsi una minima autonomia per dare ai suoi programmi alcuni elementi di correzione tendenti a far ripartire i consumi e ad inserire elementi di quella crescita economica sacrificata per anni a vantaggio degli interessi della finanza. Una linea politica che non pone affatto in discussione i parametri del rigore, e cioè della sottomissione degli Stati agli interessi di un modello economico che si basa sul fare i soldi con i soldi, anziché con il lavoro. Matteo Renzi ha già ricevuto un avvertimento dall’establishment germano-centrico attraverso l’impennata ad arte dello spread di alcuni giorni fa. Solo un assaggio per “convincerlo” a non tirare troppo la corda della autonomia, a spese del patto di stabilità e del pareggio in bilancio, cosa che sta facendo nell’ambito della campagna elettorale per le europee e di una eventuale campagna per le politiche anticipate.

L’altra forma di populismo fa leva invece sul rancore, sul risentimento e sul senso di vendetta che sono sentimenti tipici del sottoproletariato e della piccola borghesia. Essa è rappresentata dal grillismo.

Queste due forme di populismo hanno messo in campo un rapporto distorto con la rappresentanza istituzionale, producendo una classe politica di fatto corrotta, se non necessariamente e sempre nei termini del solo codice penale, anche e soprattutto perché orientata fondamentalmente alla candidatura. La rappresentanza istituzionale cessa di essere uno strumento al servizio di un progetto politico di trasformazione che si incontra con le aspettative diffuse nei ceti popolari. La cultura delle mani in pasta che prende il sopravvento sulla cultura di governo, nel caso del populismo tecnocratico, o la cultura dell’emulazione e della ricerca del posto al sole per la schiera degli smisuratamente ambiziosi nel caso dell’altro populismo.

Riprendere terreno politico in termini di sinistra in una società civile frammentata, impoverita economicamente e nei valori è una impresa ai limiti dell’impossibile. Ma non abbiamo altra scelta.

Dobbiamo cambiare passo. Intanto, preliminarmente, dovremmo attrezzarci ad un atteggiamento nuovo che, in vista di un necessario processo di ricomposizione, ci porti a diventare più portatori di valori che di biografie, anche se naturalmente le biografie non possono essere del tutto annullate. Ma che soprattutto ci porti ad individuare, come centro del processo di ricomposizione politica, proprio la ricomposizione di classe.

Sul piano della cultura politica, invece, dovremmo ricucire, una volta per tutte, quella profonda spaccatura provocata nel movimento dei lavoratori dalle ricadute della Rivoluzione Bolscevica, insanabile per anni, che in Italia va sotto il nome di scissione del 1921. Ma non nel senso di farne argomento quotidiano nell’opera di radicamento che dobbiamo portare avanti, che richiede ben altro e di essere proiettata in avanti e non in retrospettiva. È invece un lavoro da fare dentro il ceto politico della sinistra per renderlo adeguato alla situazione. Gli ostacoli alla rimozione di questa barriera, che non ha più motivo di essere a partire dal 1989, non sono solo da una parte ovviamente. Quindi, senza attardarci, questo obiettivo sarebbe bene iniziare a costruirlo tra chi ci sta, anche per dare una indicazione politica ai riottosi.

Sono in corso, parallelamente, percorsi tendenti a ricostruire una nuova soggettività politica a sinistra. Alcuni hanno un carattere marcatamente socialista, sia pur in senso aperto. Non credo siano negativi e magari hanno un senso di coesione, purché auspicherei siano intesi, come pure viene detto, non in antitesi rispetto ad un processo di ricomposizione più ampio che vada a rinviare ad una seconda fase il tema della identità. Anche perché è sul campo che andranno misurate le capacità soggettive e delle identità. Un cenno a parte lo farei rispetto al Network per il Socialismo Europeo che mi sembra una esperienza utile proprio perché si muove su questa lunghezza d’onda.

Le case per la sinistra, proprio perché vuole essere un percorso con i piedi per terra, e infatti parte da Roma, potrebbero rappresentare quella nuova forma organizzativa e politica che va ad occupare progressivamente quello spazio dal quale la sinistra si è ritirata negli ultimi 20-30 anni. Che è lo spazio, appunto, del conflitto di classe. La cosa importante sarà infatti quella di riuscire a costruire una consapevolezza condivisa che non possiamo partire dagli “Stati Maggiori” ma dalla base e dalla miriade di dirigenti e militanti diffusi che anzi potrebbero spingere gli stati maggiori ad evitare di attardarsi nel mantenimento dell’attuale status quo della sinistra.

Ma soprattutto ricomposizione non sarà se non sarà un progetto che si concretizza ma sulla base di una ricomposizione di classe. Il rischio di derive politiciste è sempre in agguato se non si parte dal dato reale.

Quanto  alle attuali aggregazioni internazionali come il PSE, la “Sinistra Europea” o i “Verdi Europei”, questi ultimi almeno nelle componenti di sinistra, così come sono, non potranno essere degli adeguati riferimenti. Men che mai essere visti come strumento di contrapposizione. Passi per la campagna elettorale per le europee, nelle quali una affermazione della Lista “L’altra Europa con Tsipras” costituirebbe una base che darebbe un po’ più di respiro anche al percorso che stiamo cercando di costruire. Passi anche perché al di là del programma del PSE, che ha dei tratti in comune con quello di Tsipras, resta il fatto che il PSE si sta prestando ad avallare, con alcuni correttivi, il dominio della Germania sul resto d’Europa. Ma il futuro, a partire da quello più vicino, non potrà essere affrontato con guerre ideologiche ma semmai da dialettica e scontri politici sui temi concreti. Non potremo più accontentarci di considerare in blocco il PSE come servo del liberismo, anche se alcuni suoi settori lo sono, oppure, simmetricamente, la “Sinistra Europea” come una armata brancaleone di velleitari privi di cultura di governo, anche se alcuni settori lo sono. La sintesi va cercata avanti.

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Un pensiero riguardo “Cambiare Passo, di A. Badessi

    massimo luciani ha detto:
    28 Maggio 2014 alle 20:30

    Condivido la linea del ragionamento anche se mi risulta difficile comprendere l’esplicitazione pratica immediata dell’ultima parte, quella sulla sintesi in avanti tra le le diverse aggregazioni europee di sinistra.

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