Ha un futuro la destra italiana? di M. Zanier

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Quando si guarda al Governo Meloni, spesso si è preoccupati del rischio di una lunga sterzata a destra della politica italiana e più di un osservatore ha gridato all’inizio di un nuovo Ventennio. Se è comprensibile la preoccupazione di molti per le politiche sociali e culturali di destra che possano ledere diritti fondamentali e non ascoltare le richieste provenienti dagli strati sociali più bassi, sulla longevità di questa maggioranza o sulla riproducibilità in futuro di questa coalizione di centro-destra nutro molte perplessità.

La coalizione che il 25 settembre 2022 ha vinto le elezioni politiche ottenendo il 44% dei voti con un’astensione che ha superato il 63% dei votanti, era costituita del 26% di Fratelli d’Italia, la Lega ferma al 9%, Forza Italia all’8% e Noi Moderati che non raggiungeva l’1%.

Se questo raggruppamento si chiama di Centro-Destra è per la presenza di Forza Italia e, in misura minore dei centristi di destra di Maurizio Lupi (che ha raccolto anche i voti democristiani dell’Udc di Lorenzo Cesa), che bilanciano in senso moderato i due partiti più schiettamente di Destra che sono Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni e la Lega di Matteo Salvini, che sono la maggioranza relativa e orientano questa coalizione in modo nuovo rispetto al passato. Ma queste sono cose note.

Quello su cui si riflette molto poco, secondo me, è che l’anello debole di questa maggioranza di governo è costituita dai moderati, ossia da Forza Italia soprattutto che è modellata da sempre sulla persona del suo leader, Silvio Berlusconi, che è nato nel 1936 e non può essere immortale e che non presuppone un vero ricambio generazionale al suo interno, nonostante si diano molto da fare Maurizio Gasparri, Antonio Tajani e il giovane Alessandro Cattaneo. Nessuno in quel partito, questa è una certezza, può prendere il posto per quell’elettorato di Berlusconi, che è il carismatico padrone del suo partito e che continua ad orientare molte testate giornalistiche oltreché il suo apparato di emittenti televisive. Quando lui non ci sarà più un giorno (gli auguro lontano), il suo partito sarà destinato a sciogliersi come neve al sole o a ridimensionarsi fortemente anche e soprattutto come immaginario popolare per quell’elettorato ed i suoi deputati, senatori e amministratori locali non potranno essere automaticamente “saltare il fosso” come hanno fatto alcuni di loro oggi entrando in Fratelli d’Italia, perché non è automatico che chi ha votato un partito moderato e padronale voti un partito postfascista come quello guidato da Giorgia Meloni. Non è così che funziona.

Senza l’8% di Forza Italia, i democristiani di destra che rendono presentabile questa coalizione di nostalgici, non si aggregheranno, credo, automaticamente al carrozzone di Giorgia Meloni e Salvini (anche lui mi pare insidiato all’interno della Lega da una nuova generazione di amministratori locali ambiziosi) e lei non potrà andare lontano, non avendo matematicamente i numeri per governare ancora. Quindi mettiamo da parte la paura di una lunga e salda coalizione di Destra-Centro. Questa perciò rischia di essere per la Meloni la prima e l’unica occasione di stare al governo del Paese.

Anche perché i moltissimi che l’hanno votata nel 2022, giocandosi così l’ultima carta, sperando cioè che l’unica persona che non era mai stata alle leve del comando, potesse dare loro delle risposte e delle soluzioni definitive, si renderanno presto conto che non potrà essere così. Perché è contro l’aumento dei salari più bassi, perché dovrà ancora proseguire le politiche sull’immigrazione impostate negli anni passati dato che lo chiedono gli industriali che hanno bisogno di manodopera strutturale, perché i suoi esponenti di spicco parlano con disprezzo dei giovani che percepiscono il reddito di cittadinanza mandandoli a zappare nei campi, senza tanti giri di parole e attaccano i diritti delle coppie omosessuali che in una certa misura hanno votato (incautamente direi) per il centro-destra.

Ovviamente lo sgretolamento a fine legislatura della coalizione guidata dalla Meloni non risolve al mio avviso il problema di una rappresentanza politica degna e responsabile.

Il fronte progressista che ha fatto un salto di qualità prima con la conferma di Giuseppe Conte a capo di un Movimento 5 Stelle ancorato ad una proposta progressista, poi con l’elezione di Elly Schlein al vertice del Partito Democratico che si pone in grande discontinuità col moderatismo di Enrico Letta e si collega alle richieste della CGIL da un lato, del popolo arcobaleno dall’altro e fa cartello sul salario minimo con le altre opposizioni. Ma non basta. Bisogna ripartire, secondo me, dai territori, dalla Scuola e dalla Salute pubblica, dalla difesa dell’ambiente, dai luoghi di lavoro, prendendo una posizione ferma nei confronti delle aziende che delocalizzano e licenziano operai ed impiegati da un giorno all’altro, in contesti spesso meno combattivi della realtà operaia della GKN che da qualche anno sta facendo scuola. C’è bisogno a sinistra di una visione del futuro, di un’idea di trasformazione graduale e profonda della società che a me piace chiamare ancora Socialismo.

Marco Zanier.

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