Le Case per la Sinistra Unita: il senso di un progetto necessario, di G. Modena
(Intervento all’Assemblea per le Case della Sinistra unita – 13 maggio 2014)
Le Case per la Sinistra Unita nascono con un obiettivo ambizioso, che si contraddistingue per la sua necessità , ma anche per la possibilità di costituire la base per far ripartire sogni, speranze e concretezza per il popolo (usiamo volutamente un termine che affonda il suo significato più alto nella storia, dall’antica democrazia ateniese alla nostra Costituzione passando per le grandi rivoluzioni del passato).
Un popolo, cioè noi tutti, che sentiamo sempre di più l’esigenza di aggredire i temi che ci riguardano direttamente (lavoro, casa, cultura, beni comuni, salute, ecc), che però negli ultimi anni sono stati gestiti lontano da noi, sia in senso verticale (governi sempre più tecnici e sempre meno rappresentativi), sia in senso spaziale (decisioni prese nelle sedi del Fondo Monetario, della BCE, della Banca Mondiale o nelle grandi sedi della finanza internazionale), svuotando sia il senso della rappresentanza politica, sia il sogno di una Europa dei popoli che aveva visto il suo primo accenno nel Manifesto di Ventotene e generando una politica schiacciata tra la tecnocrazia politica di esecutivi sempre più decisionisti e la demagogia movimentista, antipolitica e antieuropeista che ha visto nei “forconi” forse la sua più inquietante versione.
L’appuntamento delle prossime elezioni, con la nostra adesione all’ALTRA EUROPA PER TSIPRAS, se da un lato pone in termini generali il tema di come impostare correttamente una imprescindibile dimensione europea, dall’altro, a partire proprio dalle diverse esperienze di Syriza, di Izquierda Unida, del Front de Gauche, le quali in modi diversi hanno affrontato il problema dell’unificazione della sinistra, pone anche a noi Italiani il problema: cosa vogliamo e possiamo fare noi per unificare e rendere “politicamente esistente” la sinistra nel nostro Paese.
Quello che convince nell’appello per realizzare le Case per la Sinistra Unita sta innanzitutto nelle parole utilizzate: percorso, progetto, processo unitario dal basso, moltiplicatore di forze ed energia. Convince fortemente anche la finalità, che è quella di ricostruire un tessuto politico della sinistra recuperando il significato autentico sia della rappresentanza diretta, sia della delega, quest’ultimo messo in radicale discussione tanto dall’impostazione del Movimento 5 Stelle, quanto da Matteo Renzi con il loro convergente rigetto del ruolo dei corpi intermedi come interlocutori e rappresentanti delle varie parti sociali, siano essi partiti, sindacati o associazioni datoriali.
Sgombriamo subito il campo da un possibile equivoco: ovvero che le Case siano destinate ad essere luoghi fisici nei quali i superstiti di quella “nebulosa” politica (ormai in gran parte extraparlamentare) rimasta alla sinistra del Partito Democratico, si ritrovino per “rincuorarsi” e si mettano a produrre parole nella rincorsa di “momenti di vertenzialità” che via via si presentano.
Le Case altro non possono essere se non il luogo nel quale convergono le energie sia delle singole persone, sia quelle organizzate in raggruppamenti partitici e associazioni, che si riconoscono nelle grandi idealità della sinistra: uguaglianza, democrazia, libertà, solidarietà, fratellanza, partecipazione, condivisione.
Idealità che si ritrovano già nella storia delle grandi lotte popolari dei secoli scorsi, nell’Antifascismo, nella Resistenza, che stanno nella Carta Costituzionale e che nel corso degli ultimi decenni sono cresciute confrontandosi con i movimenti nati dal basso: quelli del mondo del lavoro, quelli degli studenti, quello delle donne, quello ambientalista per citare i più evidenti senza dimenticare – fra i più recenti – il movimento No Global, i Girotondi, il Popolo Viola, Se Non Ora Quando.
Idealità che costituiscono il momento unificante per tutte e per tutti e consenta finalmente il superamento di quello che divide e che negli ultimi anni ha finito con il distruggere una sinistra impegnata più a coltivare il narcisismo delle piccole differenze che non il concreto “che fare?” che il momento storico richiede.
Queste idealità possono, devono e noi vogliamo che siano la materia prima della quale sia fatta la barra del timone di ogni Casa nella gestione delle vertenze, che dobbiamo affrontare da subito. E se la materia prima sta nelle grandi idealità della sinistra, il metodo sta nella messa in comune delle energie di tutte e tutti: le vertenze non possono più essere gestite a breve termine, in modo disconnesso, lasciate in mano ad “esperti” e manovratori che hanno dimostrato nel migliore dei casi di essere insufficienti.
Le vertenze devono essere gestite, con la “intelligenza collettiva”, che deriva dall’esperienza dei singoli e delle aggregazioni, che nelle Case porteranno la loro partecipazione in termini di testimonianza, di rappresentatività, di analisi, di progetto e di lotta.
Chiariamo che, quando diciamo “vertenze”, queste si presentano tanto a livello generale, quanto in una specifica dimensione territoriale e il vero problema è ormai divenuto quello di mettere in connessione questi due momenti: se ad esempio diciamo “stop al consumo di suolo” è evidente che abbiamo un livello di ragionamento che è quello dell’Ente Locale specifico (Comune di Roma), quanto quello territoriale (lo specifico Municipio, lo specifico quartiere, nel quale si sta verificando la realizzazione di nuovi insediamenti) e i due momenti non possono essere disgiunti, pena l’inefficacia di qualsiasi istanza si intenda avanzare. Tradotto in termini concreti per un territorio come il IX Municipio, dove c’è il rischio concreto di un ennesimo regalo al “palazzinaro” di turno (ci riferiamo alla costruzione della nuova sede del Municipio in prossimità del nuovo centro commerciale in costruzione su via Laurentina presso il GRA, quantificabile in un gruzzolo di € 14.000.000,00 “a scomputo” per la Parsitalia di Luca Parnasi), la Casa da una parte dovrà creare un momento di riflessione collettiva sui termini specifici della questione, dall’altra, tanto per dirne un, porre al Comune e al Municipio la domanda (con tanto di mobilitazione annessa, sennò non funziona), se la famosa Deliberazione comunale n. 57 del 2006 “Regolamento per l’attivazione del processo di partecipazione dei cittadini alle scelte di trasformazione urbana” (materia sulla quale Marino aveva manifestato la sua attenzione in campagna elettorale) , sia strumento agibile (per noi sì) o sia una boutade da mattacchioni, tanto per far contenti quei quattro urbanisti di sinistra che bloccano lo sviluppo della città con il loro conservatorismo (tralasciando il fatto che magari quei milioni di cui sopra avrebbero nel territorio un uso più consono alle esigenze “del popolo” e non certo al lustro degli intellettuali di sinistra).
Se parliamo di beni comuni (concetto la cui elaborazione è più recente della riflessione che possiamo trovare nella Costituzione), dobbiamo “tenere insieme” tanto il tema generale quanto lo specifico (pensiamo al referendum sull’acqua e nel caso di Roma la questione ACEA).
Ancora di più se parliamo di lavoro: questo non è un bene comune, ma un diritto universale, che con il tema del precariato cozza già a partire con l’articolo 1 della Costituzione, non tanto perché si priva un cittadino della fonte di reddito, ma perché gli si impedisce di partecipare al fondamento della vita nazionale; poi però abbiamo lo specifico delle delocalizzazioni, delle esternalizzazioni, degli appalti e del centro commerciale (o del call center) dietro l’angolo, che applicano le peggiori condizioni lavorative e quindi pone a noi il problema di legare il tema generale alla vertenza specifica riferita a quello specifico luogo di lavoro.
Questo ragionamento è estensibile al welfare, all’ambiente, al patrimonio culturale perché non c’è territorio (e quindi non c’è Casa per la Sinistra Unita)che non possa costituire laboratorio vertenziale, da concepire come nodo di elaborazione politica in una rete più ampia.
L’argomento del precariato e della caduta del welfare, con il tema della caduta dei servizi alla persona, sia essa in età di infanzia, sia essa anziana fragile, ci portano ad un altro significato che le Case per la Sinistra Unita devono fare proprio: quello di luogo fisico di riconoscimento e di riferimento per tutte le persone che, confinate in un isolamento materiale e personale, subiscono la crisi in condizione di totale solitudine e di assenza di qualsiasi solidarietà umana prima ancora che sociale.
Nella storia della sinistra, se ci pensiamo, hanno avuto un ruolo fondamentale quei luoghi fisici di aggregazione e solidarietà che si sostanziarono nelle Case del Popolo e nelle Camere del Lavoro della fine del XIX secolo e nella prima parte del XX, luoghi nei quali la pratica della condivisione dei momenti di lotta era unita alla pratica mutualistica, di reciproca assistenza, di comune crescita culturale ed umana nei quali affrontare un singolo problema.
Oggi questa impostazione dovremmo senz’altro recuperare ma attualizzandola alle esigenze di un millennio che ha visto spostare buona parte dei processi riproduttivi del capitale fuori dei luoghi tradizionali di lavoro; per oltre la metà della massa delle lavoratrici e dei lavoratori, che oggi comprende anche un crescente peso dei nuovi cittadini migranti, il luogo fisico nel quale l’attività viene espletata non coincide più con quel luogo (tipicamente “la fabbrica” nel modello fordista) nel quale il singolo individuo imparava “il da farsi” e si relazionava ad altre persone simili a lui per condizione sociale (e quindi si riconosceva come componente di una classe). La dispersione fisica delle persone, che porta, oltre ad una debolezza fisica (impossibilità a difendersi dalle controparti di classe), anche un impoverimento umano e culturale (prima di tutto nella non conoscenza dei propri diritti e dei valori) richiede di essere affrontata con un’altra socialità e che faccia sentire che la sinistra c’è, è necessaria ed è la “casa naturale del popolo”. Ed è lì che bisogna andare.
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