Con i lavoratori dei Call Center in sciopero, di M. Luciani

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Call centerdi Massimo Luciani

Roma, 30 maggio 2014 – Mercoledì prossimo, 4 giugno, Roma sarà invasa da migliaia di lavoratori dei Call Center in sciopero provenienti da tutta Italia per manifestare in difesa del lavoro, dei diritti e del salario.

Solo 7 anni sono passati da quando furono  effettuate 26.000 stabilizzazioni di lavoratori dei Call Center outsourcer in esito ad una lunga e dura vertenza contro il dilagante lavoro precario ed irregolare. Da allora i servizi telefonici conto terzi sono diventati l’approdo, provvisorio o definitivo, per chi era in cerca di prima occupazione o aveva perso il lavoro.

Per un periodo breve, però, perché oggi il settore è minacciato da una crisi che può avere conseguenze occupazionali gravissime e che affonda le sue radici non soltanto nella situazione economica e finanziaria globale, ma che ha un proprio tratto specifico che è quello dei limiti e delle  contraddizioni del modello neo-liberista “meno regole, più crescita”.

Gli aspetti caratteristici, infatti, sono due: gli appalti al massimo ribasso e le delocalizzazioni all’estero. Problemi che stanno mettendo a nudo l’assenza di adeguate regole a protezione del lavoro, nel nostro paese più che nella maggior parte degli altri paesi UE che pur attuano direttive comuni.

Se la tenaglia del massimo ribasso e delle delocalizzazioni non finirà di stringersi l’impatto occupazionale sugli 80.000 addetti attuali tra breve andrà ad incidere su una composizione sociale della forza lavoro che è soprattutto donna e in buona parte giovane e meridionale.

Con il ricatto dell’occupazione viene portato un duro attacco ai salari e alle condizioni di lavoro determinato non dal salto tecnologico (internet sostituisce il lavoro vivo dell’operatore in tanta parte dell’assistenza clienti), ma da una precisa volontà politica di svalorizzare al massimo la forza lavoro, che costituisce mediamente il 70% del costo del lavoro nel settore, fino a sostituire il lavoro buono con il lavoro cattivo.

Responsabile dell’attacco in atto non è solo il libero mercato (e, dunque, il comportamento dei soggetti che vi operano), ma anche il legislatore che non solo non regolamenta la pratica del massimo ribasso nelle gare d’appalto, ma omette di vigilare sugli appalti della Pubblica Amministrazione e delle Multiutilities pubbliche, che ha regolamentato i trasferimenti d’azienda escludendo gli appalti e concedendo maggior libertà per l’impresa che nel resto d’Europa (nel 2003, in attuazione ad una Direttiva comune del 2001), che non ha creato ammortizzatori sociali universali, e i Call Center ne sono sprovvisti, ma intanto ha tagliato drasticamente quelli in deroga.

Codice degli appalti, delocalizzazioni, sistema di qualità dei servizi alle imprese, responsabilità sociale delle imprese, ammortizzatori sociali universali, sono questioni politiche che segnano il livello di civiltà giuridica, oltre a costituire le potenzialità economiche e sociali di un paese. Queste questioni non possono e non devono essere confinate in una vertenza sindacale di settore.

In questo senso le rivendicazioni dei lavoratori dei Call Center esprimono una domanda di rappresentanza di interesse generale di classe.

Lo hanno capito lavoratori di altri settori che hanno già deciso di essere presenti con loro delegazioni nel corteo.

Possono le forze politiche che si richiamano alla sinistra non raccoglierla e non provare a farsene interprete?

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