LE BUGIE DEL JOBS ACT, di M. Luciani
Attorno ai primi decreti attuativi del Jobs Act ci sono percezioni ancora approssimative e cognizioni distorte.
Ciò non di meno la becera propaganda del Presidente del Consiglio una cosa vera la dice: la portata dell’operazione è storica. Tutto il resto sono bugie da sbugiardare.
La portata è storica perché non si tratta di un semplice arretramento del quadro normativo che disciplina il mercato del lavoro, e il licenziamento in particolare, come ce ne sono stati tanti negli ultimi trent’ anni. Si tratta di una svolta epocale sia nella civiltà giuridica del paese che nella dottrina politica della “sinistra moderata” mainstream.
Sul piano normativo occorre subito sgombrare il campo dalle mistificazioni.
La menzogna delle Tutele Crescenti.
Le tutele crescenti non esistono e la terminologia è maliziosamente ingannevole. In realtà il Contratto a Tutele Crescenti altro non è che il contratto senza la tutela reale del reintegro in caso di licenziamento illegittimo, salvo casi del tutto improbabili, ma invece, con la monetizzazione del licenziamento senza giusta causa e giustificato motivo. In realtà la monetizzazione già prevista dalla precedente normativa per i dipendenti delle aziende sotto i 16 dipendenti viene persino ridotta. Da notare che per il computo dei dipendenti i lavoratori part time non si potranno considerare uno, ma zerovirgola. Per i licenziamenti collettivi il reintegro non c’è più nemmeno nei casi di errori materiali di procedura o nei criteri di scelta. Nel caso di passaggio diretto per cambio appalto l’impresa appaltatrice subentrante non potrà accedere agli incentivi anche se, ai fini del licenziamento, saranno da considerarsi nuovi rapporti di lavoro, ma con il riconoscimento dell’anzianità pregressa per il calcolo dell’indennizzo. Dulcis in fundo, l’indennizzo diventa esentasse se il lavoratore accetta la conciliazione extragiudiziale, come a dire: “caro mio ex dipendente, con l’indennizzo esentasse io risparmio e lei non perde molto, se vuole possiamo guadagnarci entrambi, se poi lei proprio insiste a farmi pagare per intero la somma dovutale mi faccia pure causa, così avrà la sentenza d’appello fra qualche anno ed io potrò dedurle dall’importo che le devo i redditi da lei dichiarati nel frattempo”.
La menzogna dell’eccessiva rigidità delle mansioni.
Non è vero che il demansionamento ora diventa possibile nei casi di crisi aziendale come annunciato: lo era già. Dalla pubblicazione del decreto attuativo in Gazzetta, però, demansionare il lavoratore non sarà più un’eccezione limitata alle misure alternative al licenziamento per motivi economici, ma sarà una facoltà unilaterale del datore di lavoro nel caso che egli decida di riorganizzarsi. Per le mansioni superiori invece raddoppia il periodo di comporto necessario al riconoscimento giuridico dell’inquadramento corrispondente passando da 3 a 6 mesi che devono essere continuativi e su posto vacante. Insomma, la flessibilità c’era già. Si è voluto semplicemente introdurre maggiore libertà per il datore di lavoro di disporne a suo vantaggio, fino al punto di poter licenziare il lavoratore che non sia in grado di svolgere le nuove mansioni assegnate.
La menzogna del superamento delle Collaborazioni.
Non è vero che spariscono le Collaborazioni Coordinate, infatti dette tipologie sopravvivono nei quattro casi di lavoratori iscritti ad albi professionali, partecipanti ad organi o commissioni di società, che offrono prestazioni ad Associazioni Sportive dilettantistiche riconosciute dal CONI e nel caso, infine, di deroghe sancite (bontà loro) dalla contrattazione nazionale. Le collaborazioni che non trovano siffatte giustificazioni, per altro, non è detto che debbano trasformarsi in lavoro subordinato, a Tempo Determinato o Indeterminato a Tutele Crescenti (sic!), perché, se proprio non potessero ricadere nel lavoro autonomo, invece di aprire la partita IVA gli si aprono altre prospettive come il Contratto a Chiamata, lo Staff Leasing (somministrazione a Tempo Indeterminato) o il Lavoro Accessorio dato che, per calmierare ulteriormente i costi, si è opportunamente elevato da 5000 a 7000 € il limite annuo del Voucher. Ha fatto notare Pierluigi Alleva che potrebbe persino sparire il Progetto che era un fattore di contenimento dell’abuso di questa forma contrattuale introdotto dalla legge 30 per riproporre le Co.Co.Co del regime antecedente. Vedremo comunque ben presto se davvero agli ex collaboratori, una volta diventati Lavoratori a Chiamata o Accessori o a Tutele Crescenti, si concederà un mutuo facilmente come il Presidente del Consiglio ha promesso o se, invece, diventerà potenziale insolvente anche chi non lo era prima.
La menzogna delle stabilizzazioni.
Tutti i rapporti di lavoro subordinato a tempo Indeterminato che si instaureranno nel 2015 saranno incentivati con la decontribuzione fino a 8060 € per tre anni e, dopo la pubblicazione in Gazzetta, avranno anche il licenziamento libero. Nello stesso tempo, però, il limite del 20% dell’organico per l’impiego di personale a Tempo Determinato sarà derogabile non più solo mediante contrattazione nazionale, come stabilito dalla Legge 78 (il famigerato decreto Poletti), ma anche mediante accordi aziendali. Gli incentivi alle assunzioni non derivano dal nuovo ordinamento, ma dalla legge di spesa per soli tre anni e, dunque, servono soltanto a fare lo spot politico sui nuovi contratti senza dar conto del saldo tra questi e quanti ne saranno cessati durante il triennio e, dopo il triennio, di quanto si sia abbassata la soglia delle tutele. Cosa succederà dopo la fine degli incentivi? Il Tempo Indeterminato con le Garanzie Crescenti diventa, di fatto, il precariato più lungo in un Mercato del Lavoro che resta un grande supermarket di forme contrattuali precarie. L’Apprendistato, svuotato in gran parte del valore formativo parifica il conseguimento della qualifica, del diploma e della specializzazione professionale e conferma nella soglia irrisoria del 20% il minimo di trasformazioni per poter assumere nuovi apprendisti, finendo in questo modo per aggiungersi anch’esso alle altre forme di precariato. In realtà il tempo indeterminato viene favorito soltanto per il lavoro in affitto, con lo Staff Leasing. Di “esemplificazione” e di “disboscamento” restano soltanto i proclami regalati a piene mani.
La menzogna della Flexsecurity.
Da maggio 2015 entrerà in vigore la Nuova ASpI (NASpI), sostegno al reddito per i disoccupati, della durata massima di 24 mesi che poi diventeranno 18 nel 2017. E’ falso che questo provvedimento aumenta il periodo di sostegno al reddito in quanto nel 2014 un lavoratore ultracinquantenne poteva avere 36 mesi di mobilità al Centro-Nord e 48 al Sud. Ma soprattutto il lavoratore avrà due anni solo se ha lavorato ininterrottamente negli ultimi 4, altrimenti la durata verrà decurtata dei periodi non lavorati nel quadriennio. Quanto alla misura del trattamento la percentuale di copertura più favorevole si ha a 1195 € di reddito mensile, superati i quali decresce. Questo lavoratore avrebbe un assegno di 896,25 € lordi per i primi tre mesi di disoccupazione che scenderebbe del 3% mensile nei successivi per finire a 331,61 € lordi. Qualora si trovasse ancora senza lavoro e in condizioni di indigenza certificabile (sic !), ma fosse inserito in un programma di ricollocazione del Centro per l’Impiego (se saranno finanziati) potrebbe avere ulteriori 6 mesi di sostegno al reddito (l’ASDI) di 248,71 € (naturalmente lordi). Per i Collaboratori compare la DIS-COLL, ma il sostegno arriverà al massimo a sei mesi e, per di più, con la clausola di decadenza dal diritto se instaurano rapporti di lavoro subordinato superiori a cinque giorni. Si attendono intanto nuovi tagli agli ammortizzatori sociali conservativi (casse integrazioni e contratti di solidarietà). Mentre si taglia complessivamente il sostegno al reddito, inoltre, le politiche attive del lavoro restano ancora nebulose. Insomma, ci vuole proprio un bella faccia di bronzo per evocare la Flexsecurity!
Il crepuscolo della civiltà giuridica del lavoro.
Sul piano della cultura giuridica si è estinto il diritto al lavoro. Il lavoro si è ridotto a merce tra le merci. Il suo valore è soltanto quello espresso dal prezzo, ed è in atto una valorizzazione drastica della forza- lavoro. La Costituzione materiale, così fondata sulla merce, entra in contraddizione con la Costituzione formale che continua a dichiararsi fondata sul lavoro. Si sono cambiati i “postulati morali”, il lavoratore non è più il contraente debole che, per avere uguali diritti, deve avere maggiori poteri.
La sinistra del capitale.
Sul piano della dottrina politica non c’è più una “sinistra moderata” che tenga a riferimento gli “interessi generali del paese”, all’interno dei quali, però, si collocano anche i diritti dei lavoratori in quanto tali. Quella che è sopravvissuta è, al massimo, una “sinistra del capitale” che scrive le leggi sotto dettatura di Confindustria. Avversa ai lavoratori e arrogante verso ogni forma di dissenso, non solo nelle aziende e nelle piazze, ma anche verso il parlamento stesso.
La sinistra necessaria.
Una nuova stagione dei diritti in Italia ci sarà soltanto se nascerà un soggetto nuovo della sinistra con una strategia fondata sul lavoro, sul sociale e sulla pace. Radicalmente nuovo, come in Grecia e in Spagna, data la ormai conclamata incapacità dei gruppi dirigenti nostrani di produrre un rinnovamento adeguato ai tempi come in Irlanda o in Germania. Ogni vertenza sindacale, ogni lotta sociale, ne avverte sempre di più il bisogno. Se ne riconoscerà l’urgenza man mano che si svilupperanno le iniziative contro il Jobs Act sia sul terreno più propriamente sindacale della guerriglia applicativa contrattuale e legale che su quello più propriamente politico del referendum abrogativo e della Legge di Iniziativa Popolare per il nuovo Statuto dei Lavoratori.
Massimo Luciani