Democrazia e socialismo, di R. C. Gatti
Lo stimolante ed interessante articolo apparso su Esseblog titolato “Democrazia e Sinistra” (che ho ribattezzato “Democrazia e socialismo” avendo maturato la convinzione che il termine “sinistra” è troppo topologico e ambiguo, facendomi preferire il termine netto e chiaro di “socialismo”) mi stimola su un tema fondamentale.
L’articolo affronta il problema dal punto di vista filosofico e sociologico, affrontando il tema fondamentale della democrazia economica.
Proprio l’esperienza della crisi del 2007 che ancora stiamo subendo mi fa nascere la riflessione oggetto del mio contributo.
Sono convinto che il rapporto con gli imprenditori non può limitarsi ad aspetti cogestivi o di sostituzione del shareholder value con lo stakeholder value, che richieda una autentica trasformazione delle coscienze.
La mia riflessione, ed il libro di Piketty lo documenta ampliamente è che la lotta di classe si ferma troppo spesso ed erroneamente nel conflitto imprenditore-lavoratore dipendente, basti vedere i commenti ai jobs act, senza spingersi alla lotta tra produttori e rentiers.
La vera lotta di classe di questi anni è, a mio parere, tra classe produttiva ( imprenditori e lavoratori in primis) e capitalismo finanziario. Se il capitalismo finanziario vede nella speculazione finanziaria il miglior modo di mettere a frutto i suoi capitali, sottrae necessariamente investimenti al mondo produttivo, con la conseguenza che mentre l’investimento in finanza non crea valore, ma al massimo lo sposta dagli outsiders agli insiders, l’investimento produttivo crea valore. Ne consegue che esiste un interesse oggettivo e concreto tra imprenditori e lavoratori di unirsi a combattere il capitalismo finanziario.
Certo che all’interno del mondo imprenditoriale viviamo due fenomeni: a) il familismo che consiste nell’identità fisica del capitalista con l’imprenditore e b) la distinzione tra imprenditori schumpeteriani e imprenditori che vivono di rendite di posizione senza rischi e senza coraggio innovativo.
Così come all’interno del mondo del lavoro dipendente si ritrova una deriva giuslavorista che vive la lotta di classe solo come una conquista e difesa di diritti sul piano legale, evitando di affrontare esperienze come la cogestione tedesca o il piano Meidner svedese.
Ecco che allora metterei a fondamento strutturale della lotta per la democrazie ed il socialismo “l’autogoverno dei produttori” che vede non un’alleanza tattica tra imprenditori e lavoratori, ma una unità di lotta tra imprenditori schumpeteriani e lavoratori che ricercano potere e responsabilità contro il capitalismo finanziario.
Certo è poi da vedere come ciò si traduce a livello aziendale e di governo, rinverdendo i temi della programmazione e dell’economia di mercato.
Renato Costanzo Gatti