Le carceri, la discriminazione e le disuguaglianze, di M. Foroni

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Nelle nostre carceri ci moltissimi immigrati, tossicodipendenti e condannati per reati di strada e di sussistenza. Al 1 gennaio 2016 (fonte: ISTAT, giugno 2017) le persone nate all’estero ma residenti in Italia rappresentavano l’8,3% del totale della popolazione, mentre sfioravano il 27% nella popolazione carceraria. I detenuti di nazionalità italiana per corruzione e grandi bancarotte fraudolente rappresentano una percentuale irrilevante (0,9%).

Il diritto penale, divenuto pertanto luogo, nel suo modello normativo, quantomeno dell’uguaglianza formale o liberale davanti alle legge, è cosi diventato di fatto il luogo della massima disuguaglianza e discriminazione sociale ed etnica.

Non solo riproduce le disuguaglianze presenti nella società, ma ormai concretamente codificato discriminazioni e privilegi modellati sugli stessi stereotipi classisti e razzisti el “delinquente sociale”, oltre che “naturale”.

A ciò consegue, nel fatti, una duplicazione del diritto penale: minimo ed inefficace per i ricchi e i potenti, massimo inflessibile ed inefficiente per i poveri, i disadattati e gli emarginati (spesso immigrati) per effetto di una legislazione penale tanto disinteressata alla criminalità dei primi, quanto duramente severa nei confronti della delinquenza dei secondi.

Si pensi in particolare: alle norme penali che nel nostro Paese hanno abbreviato i termini della prescrizione cui sono destinati, i processi per corruzione, peculati e bancarotte e a quelle che, contemporaneamente, hanno aumentato i reati contro il patrimonio; alle varie forme di plea bargaining e di patteggiamento, introdotte anche in Italia sull’esempio degli USA che hanno piegato il diritto penale alla logica del mercato (l’ammissione da parte dell’imputato in cambio di una riduzione della pena, così trasformando il dibattimento in un lusso riservato a chi può permettersi costose difese.

Tutto ciò è chiaramente in aperta contraddizione non solo con il principio di uguaglianza richiamato dalla Costituzione, am anche con un principio elementare di razionalità penalistica. La maggior parte dei reati contro il patrimonio, essendo legati a situazione di disagio sociale e di povertà, richiedono forme di integrazione e di prevenzione legate a politiche sociali pubbliche dirette a ridurne le cause, ad iniziare dalla disoccupazione e della penosa mancanza di mezzi atti a fa condurre una esistenza dignitosa.

Sono la rimozione delle diseguaglianze delle oggi non più tollerabili diseguaglianze sostanziali, in contrasto con il dettato costituzionale, e il rispetto delle differenze gli elementi atti ad operare come il più sicuro ed efficace fattore di integrazione, riducendo i processi di discriminazione e classismo che sono all’origine delle devianze, e degli atti criminogeni degli esclusi dalla società civile.

Marco Foroni

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P.S.: Il regime carcerario previsto dall’art. 41-bis (cosiddetto carcere duro) oggi applicato a circa 700 detenuti facenti parte di organizzazione criminali mafiose (1,3% della popolazione carceraria), introdotto dal DL 8 giugno 1992, n. 306 (cosiddetto Decreto antimafia Martelli-Scotti) subito dopo la strage di Capaci ove persero la vita Giovanni Falcone, la moglie e gli uomini della sua scorta, convertito nella Legge 7 agosto 1992, n. 356.

Il regime dell’art. 41-bis si applica a singoli detenuti ed è volto a ostacolare le comunicazioni degli stessi con le organizzazioni criminali operanti all’esterno, i contatti tra appartenenti alla stessa organizzazione criminale all’interno del carcere e i contrasti tra gli appartenenti a diverse organizzazioni criminali, così da evitare il verificarsi di delitti e garantire la sicurezza e l’ordine pubblico anche fuori dalle carceri.

Anche se ritenuto da alcuni giuristi come incostituzionale, con le pronunce della Corte Costituzionale nel corso degli anni ‘90 (pur osservando incompatibilità del provvedimento con riferimento all’art. 27 della Costituzione, e limitando nel 2013 la incostituzionalità alla sola limitazione ai colloqui con l’avvocato difensore) e della Corte europea dei diritti dell’uomo (ai sensi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali) è stata confermata la legittimità del provvedimento.

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