Impedire al fascismo di avere un futuro! di A. Angeli
“Or la vita degli italiani è appunto tale, senza prospettiva di miglior sorte futura, senza occupazione, senza scopo, e ristretta al solo presente … Or da ciò nasce ai costumi il maggior danno che mai si possa pensare. Come la disperazione, così né più né meno il disprezzo e l’intimo sentimento della vanità della vita, sono i maggiori nemici del bene operare, e autori del male e della immoralità. Nasce da quelle disposizioni la indifferenza profonda, radicata ed efficacissima verso se stessi e verso gli altri, che è la maggior peste de’ costumi, de’ caratteri, e della morale.” (Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani – di Giacomo Leopardi del marzo 1824 )
L’analisi leopardiana dell’Italia è spietatamente realistica ( e attuale ), con chiarezza e lucidità descrive il carattere del popolo e dei suoi costumi. L’Italia che viene descritta, con tutte le sue illusioni, è un paese dove non si dialoga o si discute pacatamente, ma si esercita nello scherno dell’interlocutore; un paese in cui non si gareggia per l’onestà ( l’etica, la morale !), e da uomini di onore, ma ci si combatte all’ultimo sangue. L’Italia è una terra dove non c’è convivenza civile, ma rivalità incivile; una società in cui si preferisce l’individualità anziché collaborare al bene comune; un paese senza amor patrio, ( che per Leopardi è un concetto di elevata cultura politica ), dove lo scherno dell’avversario prevale su tutto. Il poeta approfondisce la sua analisi ben al di là dei facili patriottismi ( o sovranismi ) e delle interessate euforie risorgimentali, fino a cogliere l’assenza di quei legami interpersonali che fanno di una collettività una «società stretta» e una «società buona», cioè un popolo di «fratelli», (un luogo sociale, citando Gilles Deleuze ), in cui sarebbe possibile una morale universalmente valida, fondata non sulla legge (perché è una base poco solida la paura delle pene minacciate da un codice), ma sul senso dell’onore che indurrebbe a fare il bene per meritare il plauso e a fuggire il male per non incorrere nel disonore.
Questo è il paese di cui parla Leopardi, che al presente ci pone di fronte alla terribile verità di cui prendere coscienza e che rende attuale questo Discorso sui costumi degli italiani, a due secoli dalla nascita del Poeta. Eppure, diceva, oltre 500 anni orsono, Macchiavelli: «in Italia non manca la materia a cui dare forma: c’è un grande valore del popolo, anche se manca il valore dei capi, tutto dipende dalla debolezza dei capi». «Ognuno crede di saper comandare, non essendoci stato finora nessuno in grado di distinguersi grazie alla capacità politica ed alla fortuna». Macchiavelli è vissuto in un’altra epoca, e tuttavia il suo pensiero è patrimonio della cultura dell’Europa e dell’età moderna ed è stato fatto proprio anche da Lenin e Gramsci, E nondimeno, al di là delle varie interpretazioni che si possono raccogliere attorno al pensiero di Macchiavelli, vale quanto dallo stesso auspicato, confidare «per l’Italia, un governo capace di sanare le ferite e porre fine ai mali che ricadono sul popolo». Ma ciò che la storia culturale ci ha trasmesso non è divenuto, nell’epoca presente, attualità e rielaborazione politica di tale pensiero. Infatti, durante tutto questo spazio temporale, che ci separa da quei Poeti, l’Italia ed il mondo hanno vissuto imponenti sconvolgimenti, terribili tragedie: nazismo, fascismo e le guerre con milioni di morti. Non dobbiamo, non possiamo, né vogliamo dimenticare, soprattutto in questo presente difficile per il nostro Paese, per il riaffacciarsi sulla scena sociale e politica di movimenti nazisti e di politici con responsabilità di Governo, che affabulano il popolo ravvivando politiche, simboli e linguaggio che sono caratteristiche del fascismo.
“Ritengo sia possibile indicare una lista di caratteristiche tipiche di quello che vorrei chiamare… il ‘fascismo eterno. È ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili. Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: ‘Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane!’. Ahimè, la vita non è così facile. …Il fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo” E’ un brano tratto da un libretto che risale a 23 anni fa scritto da Umberto Eco, edito da La Nave di Teseo, con una prolusione fatta da Eco durante un seminario rivolto, il 25 aprile 1995, agli studenti americani della Columbia University. Eco ha indicato una direttrice di impegno politico, “il nostro dovere”, precisa nel testo, perché avvertiva come due fenomeni stessero per combinarsi: da una parte l’avanzare di un fascismo non ancora identificabile nel suo spessore e forza organizzativa, che profittava della crisi economica e sociale per occupare spazi e posizioni nelle periferie e nel mondo del precariato; dall’altra, la crisi dei partiti della sinistra e dell’area riformista, la loro disarticolazione e allontanamento dal mondo del lavoro e dalle periferie, con la messa in atto di politiche insufficienti a fronte della crisi economica che distruggeva redditi e posti di lavoro.
La situazione, oggi, è decisamente più critica rispetto al 1995. Questo perchè le forze dell’antifascismo non paiono nella condizione di fronteggiare con la necessaria determinazione e opposizione le politiche e le manifestazioni teatrali inscenate da un Ministro e sostenute dal governo, che costituiscono un vero attacco alla democrazia, al Parlamento, alle libertà dei più deboli ed esclusi, come avvenuto a Casal Bruciato, periferia della Capitale, o accade a quanti tentano di fuggire dalla guerra per una vita migliore e a cui viene negato ogni aiuto, lasciando mano libera ai nazisti di Casa Pound. Non sono segnali, ma concrete, corpose azioni politiche contro cui la sinistra, le forze progressiste e democratiche si devono mobilitare, per rioccupare le periferie dove costruire casematte ( Gramsci ) cioè presidi, sezioni, circoli, per riannodare e ricostruire rapporti con le fasce dei disoccupati, dei precari, degli esclusi; riprendere in mano la politica per la costruzione di un progetto di società in cui l’accoglienza, il lavoro, i giovani, la scuola, l’attenzione verso il mondo dei pensionati siano “il” progetto centrale, portante e il terreno su cui costruire basi più solide per la democrazia e una forza capace di respingere qualsiasi tentazione autoritaria.
Alberto Angeli