Ieri partigiani, oggi antifascisti. di M. Spagnoli
Sto partecipando al corteo romano che ogni anno viene organizzato per la Festa della Liberazione e che si concluderà a Porta San Paolo, luogo simbolo della Resistenza cittadina. Le manifestazioni che oggi si terranno in tutta Italia assumono o dovrebbero assumere non solo la forma di celebrazioni di un evento passato, ma anche quella di monito per il presente e per il futuro. Il fascismo come esperienza storica è morto nel 1945, ma le idee alla base di quel fenomeno politico sono sopravvissute e, in un certo senso, si sono evolute. Uno dei caratteri fondamentali della teoria e della pratica del fascismo era la sopraffazione dell’altro, di un nemico che subiva un processo di disumanizzazione.
Anche oggi possiamo purtroppo assistere a dinamiche molto simili. Ad essere disumanizzate sono quelle persone che non fanno parte del branco; quei disperati che, dopo aver subito persecuzioni e violenze ed aver raggiunto una parvenza di salvezza, diventano inconsapevoli e impotenti destinatari di una presunzione di colpevolezza, ritrovandosi con un marchio di criminali difficile da togliere. Il volto istituzionale di questa riedizione del fascismo, abile nella comunicazione, è stato in grado di presentare questa ferocia come “buonsenso”. Contestualmente, quello che di fatto è il buonsenso, nella narrazione oggi di moda, è bollato come “buonismo”, come un modo di pensare ed agire fuori dalla realtà. Si fa finta di non capire che la tanto agognata sicurezza si può raggiungere solo estendendo i diritti, non certo limitandoli. L’attacco al concetto e alla pratica dell’accoglienza è strumentale alla creazione di instabilità sociale. È sullo scontro di tutti contro tutti che le moderne forme di populismo proliferano e si ingrassano.
Chi oggi si vanta di non celebrare la ricorrenza del 25 aprile, chi oggi si può permettere di inneggiare al fascismo, chi oggi può esprimere la sua opinione dissidente sulla Festa della Liberazione, chi può permettersi di compiere una scelta, una qualsiasi scelta, deve ringraziare chi qualche anno fa si è battuto e ha dato la vita per liberare il nostro Paese dalla dittatura fascista e dall’occupazione nazista. Il carattere divisivo della giornata odierna va sottolineato con forza. Buonista sarebbe fare il contrario. Deve essere segnato un solco profondo tra chi sta dalla parte dei diritti e chi vuole una società che discrimina e opprimente.
L’antifascismo di ogni ordine e grado deve urgentemente contrapporre una propria narrazione della società a quella che attualmente si sta rivelando vincente anche se, mi auguro, non maggioritaria.
Sarà forse colpa della mia indole pessimista, ma temo che l’impresa sia molto difficile. A “maltrattare” il ricordo della Resistenza è spesso chi dovrebbe farsene custode. Gli ideali di giustizia e libertà alla base della lotta partigiana sono secondo me a volte usati come scudo per nascondere interessi molto poco nobili. L’utilizzo del “marchio” della Resistenza è insomma in certe occasioni un modo per pulire la propria coscienza, per rifarsi una verginità politica. L’antifascismo, per avere una credibilità nella società, deve guarire dai suoi piccoli grandi mali: ci sono piedistalli da cui scendere e un’etica da ritrovare.
Michele Spagnoli