Renzi, socialista o liberale? Né socialista, né liberale! di P. P. Caserta
.
Quando leggo, come ancora mi capita, l’affermazione che Renzi è socialista, oppure liberale, o persino entrambe le cose, mi viene una doppia e tripla orticaria.
Renzi non ha nulla a che vedere con il socialismo e anche definirlo liberale è, a mio parere, una forzatura notevole. Se vogliamo accogliere le parole nel loro uso annacquato, accettando che siano rese del tutto inoffensive, o per meglio dire dannose, allora tutto diventa possibile e si può dire quello che si vuole. Ma nel senso più degno, serio (dico degno e serio, non necessariamente univoco, ché non mancano mai quelli pronti ad agitare l’accusa di purismo citando Nenni a sproposito, sforzandosi molto, da buoni alfieri del renzismo, di fare passare per rigidità settaria la richiesta del minimo dovuto di onestà intellettuale e coerenza) di entrambe quelle parole e delle grandi tradizioni di pensiero che indicano, Renzi non ha nulla a che vedere né con l’una né con l’altra. È estraneo all’una come all’altra.
Anzi, in un senso più proprio e più forte, io sostengo che l’azione del renzismo di governo ha avuto nel Socialismo e nel liberalismo il proprio duplice campo di avversità.
“Pieni poteri”… Quanto al rapporto con il liberalismo, è pur vero che il PD ha, per esempio, promosso e portato a casa una legge sulle unioni civili che, sia pur insufficiente è, si dirà, pur sempre meglio di niente. Ma questo è lo stesso schema ormai da tempo congeniale ai partiti conservatori europei, pronti a patrocinare i diritti civili per sottrarre diritti sociali.
Ma dove Renzi è stato profondamente avverso alla cultura liberale è sul piano politico-istituzionale. Basta dire che, qualora fosse passato il tentativo renziano di deforma costituzionale, magari in combinazione con l’Italicum, forse l’altro Matteo non avrebbe nemmeno avuto bisogno di invocarli molto maldestramente, come ha fatto, quei famosi “pieni poteri”, perché il governo grillo-leghista si sarebbe trovato già all’atto del suo insediamento un potere nella forma più gradita ai due demagoghi giallo-verdi, cioe con un Esecutivo rafforzato in modo abnorme a discapito del Parlamento e una Costituzione modificabile a piacere.
L’altro campo di avversità del renzismo è proprio nel Socialismo. Non diversamente da larga parte dei partiti socialdemocratici europei subalterni alla destra economica, il Pd renziano ha eseguito in Italia le politiche economiche egemoni nell’attuale ciclo neoliberista / ordo-liberale. Mettere Renzi nella storia del Socialismo riflette un grosso equivoco; il Pd renziano è, semplicemente, stato dall’altra parte dello scontro di classe in corso, basta vedere chi siano stati i suoi sponsor e compagni di cordata. L’orizzonte ideologico nel quale il renzismo si inscrive è quello della liquidazione della sinistra, riassorbendola norminalisticamente per depotenziarla di fatto. Quanto al rapporto con il liberalismo, dunque, in perfetta sintonia con la generale tendenza alla contrazione degli spazi della democrazia e alla sua semplificazione (certificata dall’abuso dei social, non diversamente dall’altro Matteo, per riempire di apparenze un vertiginoso nulla, la cinica amministrazione dell’esistente), Renzi ha cercato di alterare l’equilibrio liberale tra i poteri a vantaggio dell’esecutivo. Difficile pensare qualcosa di meno liberale. Per fortuna fallì, ma nell’infragilimento della democrazia liberale ha svolto un ruolo, in quello dell’affossamento della sinistra purtroppo, e complice anche la sinistra, un ruolo anche maggiore. Renzi che ora si atteggia a contrastare il peggio, non è mai stato opposto al peggio. È stato quando complice, quando apripista del peggio.
Pier Paolo Caserta