Infelice è il popolo… di A. Angeli
“Infelice è il popolo, e sempre precaria la sua Costituzione, il cui benessere deve dipendere dalla virtù e dalle coscienze di ministri e politici”, dalla Favola delle Api, ( di Bernard de Mandeville Laterza 1982, pag, 127) un poemetto satirico che risale al 1714. Dunque sono trascorsi oltre quattrocento anni , eppure ne avvertiamo tutta la verità e fondatezza, una critica che ci invita a riflettere sul disagio che scaturisce dai vizi privati e le pubbliche virtù. Infatti, l’autore dimostra che la felicità pubblica di una società mercantile è legata non alla virtù, all’avvedutezza e alla parsimonia dei suoi componenti, ma ai loro vizi, ai loro comportamenti irrazionali e ai loro sprechi. Una delle più profonde interpretazioni filosofiche dell’individualismo moderno.
Un classico da cui prendere spunto per una interpretazione di alcuni modelli culturali a noi contemporanei e approfondire il fenomeno del disagio che nelle società occidentali è generato dallo scarto che segna la differenza di giudizio tra gli individui e ( come siamo realmente ), vale a dire ciò che segna la differenza tra verità e critica. Si tratta cioè di prendere atto che, dove il processo critico si dimostra incapace di cambiare il corso reale della nostra esistenza, la critica viene percepita come un inutile accessorio morale, un inutile orpello dialettico non in grado di determinare una conseguenza concreta. Ma le cose potrebbero risultare ancora peggiori, allorchè le conseguenze attese da un approccio critico si rivelassero fondate e ne risultasse però l’incapacità del soggetto di coglierne il valore di verità e di ricondurle ad un giudizio politico. Si può addurre allora una sofisticata negazione al valore della critica e alle sue previsioni, magari ipotizzandone la non corrispondenza alla verità, ma, come sosteneva Michel Foucault, si possono dare per fondate verità o effetti di verità, per cui il problema che ne scaturisce è di capire come gestire simili effetti, dato che si imporrebbe il compito da capire il senso di una verità una volta che sia stata individuata e accettata. Per Foucault, rispetto a queste due ipotesi si pone una questione di coerenza morale e…. del caso, cioè trovarsi nel posto giusto al momento giusto e godere così degli effetti, indipendentemente che gli stessi siano conferibili alla verità critica sulla quale stiamo indagando.
Ammettiamo che l’ipotesi si riveli corretta, e di conseguenza affermata una verità secondo i canoni della dialettica, ma poi riscontriamo che alla critica manchi quella necessaria forza argomentativa in grado di gestirne gli effetti: ci si troverebbe pertanto ad affrontare il paradosso di un processo critico efficace che produce effetti nulli, o addirittura controproducenti. Allora, per capire il senso di quanto affermato, proviamo a contestualizzare il breve inciso del poemetto di Mandeville richiamando il ruolo di opposizione che il PD sostiene contro l’attuale governo: una opposizione politico parlamentare di forte critica, che i dirigenti del Partito ritengono efficace, ma che confrontata con il consenso elettorale che i sondaggi gli attribuiscono – confortati dal recente voto sul rinnovo del Parlamento Europeo -, evidenziano un risultato la cui efficacia è senza dubbio nullo. Lo scenario che ne risulta è un mondo dove la critica è sempre più incapace di fare agire le persone oltre il mero tornaconto e l’individualismo elevato a sistema.
Se quindi la critica contro il governo di cui si avvale il PD e la sinistra, fondata su argomenti che riguardano l’economia, il lavoro, l’istruzione e la ricerca, l’ambiente, la giustizia, nella sostanza il futuro e la tenuta democratica del Paese, non ha un ritorno di consenso e sostegno elettorale, risultando nella sostanza inadeguata ad intercettare il fenomeno che porta una parte dell’elettorato tradizionale della sinistra a non partecipare al voto o a favorire politiche fallimentari e potenzialmente orientate a forme autocratiche di governo, pur rilevando questo limite non si deve rinunciare alla critica, ma con essa mettere in campo una strategia di lotta senza quartiere. D’altro canto il sintagma “ esercitare una opposizione critica “ usato con disinvoltura diviene grammaticalmente inefficace se non coinvolge il cittadino, l’elettore e lo si induce a riflettere. Ma dovrà essere la proposta e non solo la critica, un progetto di società e di sistema Paese alternativo all’attuale e non limitarsi alla denuncia dei provvedimenti improvvidi e incoerenti deliberati dall’attuale governo giallo/verde.
Per metafora si asserisce che il popolo ha sempre ragione…..almeno fino a quando non scopre di avere perso la libertà e con la libertà la dignità di uomo. La storia del nostro Paese dovrebbe allora indurci a riflettere e spingerci a contrastare lo stereotipo divinatorio dei molti opinionisti che indulgono a dare a questo governo una patente di vera democrazia, definendo faziosa qualsiasi analisi che invece ne svela la similitudine e l’affinità al fascismo. E’ su questo terreno che la sinistra deve riorganizzare le sue fila, ricostruire una sua identità e riappropriarsi della sintassi anticapitalistica e antiglobalista sulla quale ricostruire un rapporto con la società ed il mondo del lavoro e riorientare in questo senso le sue proposte per un governo di alternativa all’attuale sistema. Già Walter Bengjamin, nell’ottava tesi sul concetto di storia, in una variante al testo, scriveva a proposito del fascismo: «la superiorità che questo ha nei confronti della sinistra trova, non da ultimo, la sua espressione nel fatto che essa gli muove contro in nome della norma storica, di una sorta di condizione media della storia» . Nel presente momento, in cui un nuovo fascismo avanza mascherato, è della massima rilevanza ridefinire in termini di categoria la tesi di Bengjamin sul fascismo, per la straordinaria attualità che la comprensione che Benjamin ebbe del fascismo s’impone alla nostra riflessione, non tanto per il dovere di un approfondimento della natura del fascismo storico, ma soprattutto per migliorare la posizione degli antifascisti nella lotta contro le nuove manifestazioni del fascismo.
Tornando alla questione di un contenitore politico per riannodare le fila di un partito di sinistra ( partito, rassemblament, confederazione ) il PD, per la sua naturale propensione liberal democratica, non pare deputato a rappresentare un’alternativa all’attuale quadro politico nazionale e a segnare una svolta nella politica internazionale. Zingaretti, con la proposta di una costituente delle idee, disegna un percorso minimale, confermando così i confini entro cui quel partito intende riorganizzare la propria identità dopo la sconfitta del 4 marzo, sostanzialmente riconfermata con le Europee: occupare il centro di un’area liberal democratica, magari consentendo la sopravvivenza di posizioni socialdemocratiche rivolte alla base sociale più esposta alle forme di sfruttamento capitalistico e della globalizzazione. Si tratta di un percorso la cui visione ed orizzonte si adagia sull’ipotesi di un probabile governo di collaborazione, sostitutivo dell’attuale, che possiamo immaginare potrebbe nascere con l’appoggio delle forze residuali del dopo crisi dell’attuale governo Lega/5stelle.
Per queste ragioni l’iniziativa del PD, cioè di Zingaretti, dovrebbe aprirsi ad una diversa lettura del momento storico e dedicare il suo impegno alla costruzione di un’area socialista nella quale raccogliere i movimenti civili, sociali, e le forze progressiste e riformiste, che intendono battersi per una società nella quale le diseguaglianze sono combattute con la forza di una politica fondata sulla giustizia, l’equità sociale ed economica. Una scelta che non comporta revisionismi o abiure, ma offre anche alle rappresentanze più combattive e radicali un terreno di sintesi, un ideale culturale nel quale sono custodite le risorse della storia del nostro Paese, delle lotte operaie e della resistenza per un Italia antifascista e democratica.
Alberto Angeli